Regia: Joe Wright
Churchill (all’inizio) lo stimava, pensandolo un po’ come quei Viceré delle colonie britanniche che insegnano al popolo a costruire case e a lavarsi; Hemingway lo considerava un bluff.
La verità è che “Benito Amilcare Andrea Mussolini”, come lui stesso si presenta, ha capito che la politica è l’arte del possibile. E ce lo dimostra.
A metà gennaio 2025 è uscita la miniserie di otto puntate M - Il Figlio del Secolo, tratta dal primo volume dell’omonima saga di Antonio Scurati, sull’uomo e il ventennio che ancora, oggi dividono l’Italia e le opinioni. No, non Berlusconi, bensì Benito Mussolini.
I romanzi della tetralogia che ho divorato, aspettando il successivo ogni anno e mezzo, hanno il merito di creare una storia corale, un affresco greve di voci in cui tutti i personaggi sono tessere di un mosaico che compongono la figura del Duce del fascismo con uno sguardo tanto impietoso quanto implacabile.
La serie segue il primo volume, dal 1919 a Milano quando il giornalista ed ex socialista Mussolini, fonda i fasci di combattimento con quattro reduci rancorosi, passando per l’impresa di Fiume e lo scippo degli slogan a D’Annunzio, lo squadrismo, la marcia su Roma, l’ascesa al governo che arriverà a vacillare per il delitto Matteotti nel 1924 e il discorso alla camera dei deputati nel 1925 con cui Mussolini se ne assumerà la responsabilità “storica, politica e morale” e che consoliderà la dittatura come un sipario sull’Italia.
Una storia (e la Storia) con tutte le sue contraddizioni, i drammi e un unico protagonista: LUI.
Una serie, ottimamente e fedelmente raccontata da Joe Wright, che ci mostra the other side di The Darkest Hour, con un ottimo cast italiano, su cui svetta – duceggia – Luca Marinelli in un impressionante mimesi.
Ingrassato 24 chili, pelata d’ordinanza, occhiaie e cotone nelle narici, Marinelli è Mussolini, nei gesti, negli occhi roteati e magnetici, nella parlata romagnola, ma senza essere il feticcio dei nostalgici.
Come Mussolini, anche Marinelli è un istrione, un trasformista voltafaccia, rompe la quarta parete e si rivolge a noi come il capo di tutti gli imbonitori (proprio come il Frank Underwood/Kevin Spacey di House of Cards): ammicca, provoca, facendoci cadere in ogni suo tranello, per convincerci – e ci riesce – che il fascismo è come il nero: sta bene su tutto.
Nero come l’orbace, nero come l’atmosfera di una Milano cupa e gotica, martellata dalla colonna sonora di Tom Rowlands (Chemical Brothers) che ha suonato l’elettronica su vecchi strumenti per renderci ancora più straniante la visione di questo teatro Brechtiano.
E poi, nero come il presente e le incazzature che ha collezionato a Destra.
Perché come il Duce, M. è un gioco di specchi, ci parla del presente attraverso il passato. Ci fa vedere quanto in realtà il dittatore assomiglia(va) al suo popolo: il gusto del teatro, l’incarnazione dei e difetti e delle virtù di noi italiani, a cominciare grande classico: la moglie e l’amante.
La prima, Rachele Guidi (Benedetta Cimatti), grezza e semianalfabeta, orgogliosa e testarda, che parla con Benito quasi solo in dialetto romagnolo, sposata assieme alla miseria e tradita regolarmente - ma non esclusivamente - con la raffinata e colta mecenate Margherita Sarfatti (Barbara Chicchiarelli, il personaggio più bello della serie), quella che lo eleva, lo sopporta e supporta: “Benito, ti ho insegnato a usare le posate.” gli rinfaccia quando LUI ormai al potere la vuole scaricare.
I camerati più fidi sono dei Dioscuri; l’irruento Balbo, inventore dell’olio di ricino e le mazzate di merluzzo essiccato come armi buone per manganellare i comunisti, contro il più pacato Dino Grandi entrambi con pizzetto, sembrano separati alla nascita.
Lo stesso Mussolini è uno specchio oscuro che deve consultare il pacato e fido Cesare Rossi (Francesco Russo) un braccio destro che finisce per sapere troppo e che nonostante con i suoi modi bonari e l’aspetto da tombolino con parlata toscana è un grillo parlante capace di crudeltà inaspettate.
Infine, la diarchia, il potere diviso col piccolo Re Vittorio Emanuele III (Vincenzo Nemolato), un nano malinconico e storpio, appollaiato su un trono troppo grande per lui, quasi comico nella sua tragedia.
Un enorme specchio deformante sul presente e sui segni che noi, un popolo che va avanti a forza si Ventenni, ci portiamo dietro da allora.
Insomma, una serie che sembra la versione molto a destra di certe strisce di Dick Tracy o, meglio, da Gotham City, visto che pure l’uomo pipistrello è sempre stato accusato di essere di fascio.
Una serie cupa eppure affascinante, già pronta per i mercati esteri.
Spero molto presto in una seconda stagione.
Make Italy great again!
Buona visione, e se vi scappa un tic al braccio destro…è solo per prendere una manciata di granturco scoppiato.
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