Una Figlia per il Diavolo: Recensione del Film



Regia: Peter Skyes


Il 98 per cento dei cosiddetti satanisti non sono altro che dei patetici anormali, dei poveri idioti che passano il tempo a ballare nudi nei cimiteri, gente che usa il diavolo come scusa per sfogare gli istinti sessuali. E poi ce n’è…l’altro due per cento…e su di loro non si sa niente.

John Verney (Richard Widmark)


Nell’Anno Demoni 1976, sulla Hammer sta per calare il sipario e la scure del fallimento. La casa inglese boccheggia: tante idee, ma troppi debiti e pochi investitori per coprirli; Dracula e Frankenstein sono andati in pensione, perciò quasi ogni film realizzato dopo il 1973 è un lancio di dadi nel tentativo di inseguire il pubblico sugli horror che vanno per la maggiore con la prestanza di un corridore spompato che insegue una Ferrari.

Esce L’Esorcista? Per i capoccia della Hammer il diktat diventa rispondere con un film sul diavolo, elemosinando fondi con la grazia di un tassista abusivo a Roma Termini.

Lo scrittore John Verney (Richard Widmark), viene avvicinato dal tremebondo Henry Beddows (Denholm Elliot, il Marcus Brody di Indiana Jones) con la richiesta di prendersi cura di sua figlia Catherine (la liliale e già maliziosa Natassja Kinski), una novizia che dovrebbe arrivare a Londra a breve per il suo diciottesimo compleanno.

Si dimentica un dettaglio trascurabile: la ragazza è promessa ad una setta di satanisti capeggiati dallo scomunicato padre Michael Rayner (Christopher Lee) che vuole consacrare la ragazza ad Astaroth - un dio androgino la cui statua è un pataccone dorato che fa la spaccata sui crocifissi rovesciati, roba che su Temu è fatta meglio e costa meno - sono molto incazzati perché il padre ha rotto il patto con loro…

Ultimo horror della casa, Una Figlia per il Diavolo è tratto da romanzo di Dennis Wheatley, l’autore che aveva portato fortuna alla Hammer otto anni prima con l’adattamento di The Devil Rides Out; un lancio di dadi, ma col punteggio di occhi di serpente (2, il punto più basso), e nemmeno quello del peccato originale. Ma un peccato, sì.


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Di per sé il film non è malaccio: Christopher Lee è un buon pretone eretico, malvagio e maturo al punto giusto fra magia nera e abito talare, basta vedere la scena in cui tramuta la corda in serpente al telefono, o le espressioni di sadico compiacimento durante il parto blasfemo. Ed è forse l’unica volta che mostra le chiappe in un rituale orgiastico.

A proposito di scoprire, i capitali tedeschi offrono Natassja Kinski, monachella in frangetta che fa le convulsioni diaboliche e sotto il velo scopre la pelliccia in una scena di nudo integrale che ad oggi non passerebbe, visto che allora era quindicenne. E visto che paga la Germania, si valutò pure la possibilità di avere il padre Klaus nel cast, ma visto che l’attore ci dava dentro con gli additivi, alla richiesta ha onestamente ammesso che, se il film fosse durato più dieci giorni non avrebbe garantito il risultato…e nemmeno l’assicurazione.

Nel comparto buoni c’è Richard Widmark, preso con i soldini americani, una specie di alter ego di Wheatley esperto di demoni, alla regia Peter Skyes e alla sceneggiatura Chris Wicking, che insieme aveva già fatto l’interessante Rose Rosse per il Demonio, ma che qua si barcamenano assieme al produttore Roy Skeggs per far quadrare i conti: mentre il boss della Hammer, Michael Carreras è in America a cercare fondi per mettere in cantiere Vampirella (che diventerà uno dei tanti unfilmed Hammer), i due mestieranti devono combattere contro braccino corto dei produttori al timone che impongono riscritture della sceneggiatura - anche di giorno in giorno - per stare nel budget risicato, seminando incazzature fra il cast, primo tra tutti proprio Widmark che ogni mattina alla quattro telefonava per annunciare che sarebbe tornato a Los Angeles col primo volo e chiamando la Hammer “produzione di Topolino”. Le prime due mattine lo hanno calmato, alla terza nessuno si degnò di rispondergli.

Il vero affossamento è la modifica del finale: passi che nella prima stesura avrebbe previsto che Padre Michael rimanesse colpito da delle metamorfosi repentine in orso, lucertola, formica e gazza prima di ritornare sé stesso e schiattare. Un finale così, senza gli spicci per gli effetti speciali, non lo pensi nemmeno.

Il secondo, comunque efficace, immaginava che Lee, uscito dal cerchio magico, venisse fulminato dall’ira divina e cadesse a terra in una posa crocifissa. Scartato pure quello, perché qualcuno si è lamentato che ricordava troppo quello de Il Marchio di Dracula, così ne viene girato uno talmente irrisolto che sembra il trucco di chi è a corto di idee (e di pellicola), ma che non vi rivelo.

Sarebbe bastata qualche sterlina in più e avremmo avuto un Hammer più che dignitoso; quando uscì andò pure benino, anche se i soldi andarono tutti a coprire i debiti.

Si incazzò pure Dennis Weathley, sbigottito per l’adattamento al suo romanzo, giurando che la Hammer non avrebbe mai più filmato un suo libro. Morì poco dopo.

Forse anche Astaroth si è incazzato.

Se anche voi volete indiavolarvi un po’ e ripescarlo, qualche sinistro bagliore ce l’ha.

Peccato per quel finale.

Buona visione



Trailer





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