Nosferatu (2024): Recensione 2 del Film




Regia: Robert Eggers



“Murnau, me Murnau…”

Scusate, ma dovevo iniziare con questa citazione che non capirà nessuno, un vecchio giochino che faceva ridere un piccolo gruppetto (3 persone) di amici degli anni Zero, con cui si scambiavamo favori cinefili.

Andrebbe pronunciato con fare ammiccante e agitando la mano, come dire: “guarda che…”

Ma immagino che non sogghigni nessuno, per cui, passiamo direttamente a questo Nosferatu 2024, però declinandolo a Robert Eggers: “Eggers, oh, Eggers, guarda che…”

E’ dai tempi di The Lighthouse che favoleggi di un tuo Nosferatu, tu che sei il simbolo dell’elevated horror, che dieci anni fa sei partito con The Witch, con Anya-Taylor Joy, storia arcaica (e arcadica) sul male nell’America dei Padri Pellegrini, metafora esplicita di un orgasmo negato, di una sessualità inespressa – o repressa? – e che con questo Nosferatu ci (di)mostri la terza via, nonché di aver fatto i compiti. E anche di aver girato in cerchio.

La trama non la racconto neanche, 102 anni dal capolavoro in “grigio” di Murnau e 45 dal funereo remake di Herzog, possono bastare: Nosferatu è la versione apocrifa di Dracula di Stoker, una frode smaccata di Murnau, che ha cambiato i nomi dei personaggi per non pagare i diritti all’esosa e gelosa vedova di Stoker; Orlok è Dracula, Mina diventa Ellen e Harker è Hutter

Una storia che conosciamo tutti bene o male, ma che per Murnau, Herzog e Eggers è metafora: il roditore di Max Shreck è portatore di peste ma anche di futuro cupo per l’Europa, l’infelice e glabro Klaus Kinski è un porta sfiga malato d’amore, mentre Bill Skarsgård è…ributtante. Eggers ce lo tiene in ombra il più possibile e ha chiesto agli spettatori di non spoilerarlo, per cui non lo farò. Anche perché credo che l’aspetto fisico sia una sorta di test di Rorshach, io ci ho visto un ufficiale napoleonico sfatto, un vermone putrefatto, che parla il dacico, lingua ancestrale della zona della Transilvania prima che arrivassero i romani (grazie all’amico Mattia per la precisazione) e rantola che pare Darth Vader che imita Bela Lugosi. Eppure è fedele allo spirito di Stoker.

Ma il suo Orlok non è solo questo, è chiaramente la metafora del desiderio sessuale femminile, l’appagamento mancato – o negato – la fregola di Ellen, che, per dirla quasi con Zucchero vorrebbe solo una sana e consapevole libidine (uuh!).

Ellen di Lily-Rose Depp rifà Isabelle Adjani in versione tarantolata; carnale e smaniosa, ma a cui manca la diafana volitività che le avrebbe magari dato Anya Taylor-Joy, che invece ha dato forfait.


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Eggers prende a piene mani dai sui predecessori: le luci e le ombre di Murnau, il verismo di Herzog e persino certe soluzioni di Coppola; l’arrivo di Hutter al maniero del conte che sembra muoversi come il castello di Howl, significa aver studiato e pure bene. Sono omaggi di buona fattura, ma il collante, la melassa sulla frutta di questa torta a strati di elevated horror o new horror (o come lo volete chiamare), quello che lo tiene insieme è l’atmosfera notturna e sensuale di The Witch, appunto.

Più che riprendere paro-paro i maestri del passato, Eggers imbeve il suo Nosferatu di The Witch, quasi un liquore Strega e passatemi la penosa battuta.

L’ignoto, la sessualità repressa, la diffidenza del patriarcato - in questo caso la sottotrama con la coppia di amici ricco-borghesi finto progressiati che figliano come conigli - , il folklore panico degli zingari dalla parlata romalè (lingua rom dei gitani, grazie Mattia parte 2) in Transilvania nel rito di esorcismo della tomba del vampiro con processione di ragazza nuda a cavallo, sequenza che ho apprezzato molto (se è omaggio a Le vergini cavalcano la morte, Eggers hai tutta la mia stima), tutto ciò che aveva trattato con la sua Strega, lo cesella per questo Nosferatu, che probabilmente deve qualcosa anche al Vij di Gogol, per via di certe forzature, come le tre notti da superare.

Non tutto fila liscio, sia chiaro. La follia di Knok, il Renfield di turno, è approfondito pure troppo ed lontano da quella follia sporca e pruriginosa che avevano gli altri interpreti, sembra un Mel Brooks in stato di demenza senile, mentre Willem Defoe come Von Kranz, è un medico caciarone con qualche debito al Van Helsing di Anthony Hopkins, e rimane un po’ in ombra.

Ma d’altronde Nosferatu è il male con tutte le maiuscole, quindi poco possono la scienza e il maschilismo imperanti…

Ogni cinquant’anni il mito si rinnova, ogni generazione ha il suo Nosferatu e i suoi linguaggi per trasporlo. Questo è il più nero e il più carnale dei tre, quello che pulsa come una ferita infetta, ripugnante e caldo sotto una patina di gelo.

Non è stato pienamente nelle mie corde, ma questo non significa che non valga la visione: il futuro dell’horror passa anche e sopratutto da qui. Tradire, copiare per essere fedeli ed uroborici, perché Nosferatu è l’inestinto quindi fra cinquant’anni…Chissà.

“Eggers me Eggers”, diranno gli spettatori di allora.


Buona visione,


Trailer




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