Operazione Paura: La Recensione del Film



Regia: Mario Bava


Un urlo disperato: “NOOOOOOO!”.

Una ragazza angosciata corre fuori da un palazzo, sale su un finestrone e si butta sulle punte di cancello, trafiggendosi. Dallo stipite spunta un’ombra, poi vediamo due scarpette di vernice, calzettoni e gonna bianche scendere le scale.

Settanta secondi di film e siamo già scioccati 😱.

In un cupo paesino tedesco ai primi Novecento, il medico Eswai (Giacomo Rossi Stuart, papà di quel Kim Rossi Stuart) viene chiamato viene chiamato a fare l’autopsia della poveretta suicida del prologo, ma si scontra con l’ostilità dei paesani e la morsa di terrore e superstizione che pervade il villaggio, incarnato dalle inquietanti apparizioni di Melissa, una bambina biancovestita che gioca con una palla bianca. Assieme all’infermiera Monica (Erika Blanc), scoprirà che sotto la cappa di paura, di omertà, ambigue fattucchiere, suicidi e campane che suonano da sole, la chiave del terrore è la villa della baronessa Graps

Ed ecco quindi il gioiello baviano a cui molti hanno sgraffignato qualcosa: Fellini scippa la bambina demoniaca per il suo Toby Dammit in Tre Passi nel delirio, beccandosi le rimostranze di Marione; Argento oltre ad intascarsi il look dell’assassino impermeabile & cappellaccio di Sei donne per l’assassino, rimpingua il suo carniere con alcune soluzioni visive – ma Bava sarà più indulgente con lui – mentre Edgar Wright mutua l’uso delle luci nel suo Ultima Notte a Soho, tanto che sembrano proprio lampeggiare Bava, Bava…E Tarantino, se non l’ha citato, avrà appiccicato il poster in qualche sua inquadratura, con quel titolo estero che sembra fatto apposta: Kill Baby Kill.

Bava fa scuola o, meglio, è scuola.

Persino il collega Corman ha qualche debito (leggi: ha scopiazzato) e non il contrario.


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Doveva intitolarsi Paura, ma i distributori gli aggiunsero Operazione per cavalcare l’onda degli spy-movies all’italiana che in quegli anni andavano di moda, ma cambia poco: missione riuscita.

Il film è una ghost story pervasa dai vari toni di paura: nell’incipit te la getta in faccia, e nei titoli di testa ti avvolge in una nebbia fastidiosa, a partire dall’inquietante sfondo del borgo di Faleria, con le sue case di pietra spettrali e negli interni colorati dalle luci verdi, blu e marroni e stipati di bambole, gufi impagliati, quadri e lapidi.

La paura ha il volto infantile di Melissa (in realtà era maschio e figlio del portiere di casa Bava), con le sue apparizioni spettrali e le sue soggettive tradotte in geniali soluzioni per aggirare il budget all’osso, vedi il dondolio della camera che mima l’oscillare dell’altalena su cui la bimba è seduta a guardare il cimitero.

È una paura che sgretola il reale per andare nel sogno, come la celebre sequenza in cui Eswai insegue il killer attraverso otto stanze identiche per scoprire che si tratta… del suo doppio.

Probabilmente uno dei punti più alti di Bava e del Gotico italiano che da lì a poco avrebbe cominciato a declinare (non tanto quanto i segretissimi da discount), senza le solite dame maledette e vampiri al barbera, ma con un senso di torbido, di rimosso e di colpa inconscia: Paura, appunto.

Consigliato? No, obbligato!

Buona visione,


Trailer





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