Regia: Peter Sasdy
Una caramella rossa (sangue), questo La morte va a braccetto con le vergini (per gli amici e amanti del basic, Countess Dracula), hammerino bistrattato e spesso buttato nel mucchio della trilogia Karnstein, solo perché ne condivide l’attrice, sua burrosità Ingrid Pitt (il dolcetto) e che da noi uscì in sala solo a Torino (scherzetto!).
Poteva mancare nel pantheon Hammer, accanto al letterario conte Dracula, anche la vera contessa sanguinaria, l’ungherese Erzsebet Bathory, detta “la bestia di Csejthe”? Giammai!
Conosciamo la sua storia e carriera, grazie alla curiosità di un prete gesuita che, nel 1729, portò alla luce i documenti del 1611 riguardo al processo della Contessa. L’amena nobildonna pare abbia ucciso almeno tra le 100/300 persone - specie ragazze – e fra le molte (troppe) atrocità per cui è nota, la più famosa è quella di fare il bagno nel sangue delle giovani contadine, per mantenersi giovane.
Fu arrestata e condannata a essere murata viva in una stanza del suo castello, dove riceveva i pasti da una fessura, finché si lasciò morire di fame nell’agosto del 1614.
Con un simile curriculum, la Bathory è pronta per lo schermo.
Elisabeth Nadasdy (Pitt) è la contessa vedova e crudele, che porta avanti uno stanco menage con il suo amante di lungo corso, Dobi; in più, scopre di dover dividere l’eredità del marito con la figlia Ilona. Quando uno schizzo di sangue della serva le finisce addosso, scopre che la sua pelle è ringiovanita, così fa sparire la ragazza e con un bel bagnetto eccola di nuovo giovane e fresca.
Con la complicità di Dobi (e la promessa di dargliela ancora), fa rapire Ilona per potersi spacciare per lei a broccolare col giovane ufficiale Imre. Ma gli effetti del sangue sono di breve durata, per cui urgono rifornimenti di vergini per portare avanti la farsa…
Anche la Hammer aveva bisogno di sangue fresco (e tette), così attinge alla Storia con la S maiuscola, riutilizzando i set di Anna dai mille giorni, ma crea un drammone in costume più che un horror, col paradosso che il film è anemico.
Questa Bathory è più una Dorian Gray, con la contessa che diventa sempre più orrenda ogni volta che l’effetto svanisce (i trucchi comunque funzionano) e la tragedia di una povera vecchia che non conosce i benefici del lifting.
La stessa Pitt commentò poi che ci voleva più crudeltà, sangue e gole squarciate (e pure i distributori erano d’accordo), ma rien a faire.
Questa Bathory in salsa inglese è come il loro roast-beef: asciutto.
Meglio allora una Bathory al patanegra con Le Vergini cavalcano la morte di Jorge Grau, oppure quel bignè francese ad opera del maestro Boro, che da bravo maestro dell’erotismo l’ha ritratta con viso da lemure e i capelli corvini di Paloma Picasso nel segmento a lei dedicato di I Racconti immorali. Provare per credere.
Qui, Thanatos (ed Eros) vanno a braccetto anche con le vergini; ma soprattutto fra di loro.
Vintage visione.
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