Regia: Rolf de Heer
Cosa succede se si tiene relegata una persona in cantina per oltre 30 anni senza mai farlo uscire
No, non sto parlando del famoso caso di Geenie, ma di una pellicola di Rolf De Heer del 1993 ovvero: Bad Boy Bubby, che dà la risposta a questa domanda.
Trama
Costretto a vivere in una stanza fin dalla nascita, Bubby non conosce nulla oltre alle quattro mura e alla sua folle madre. Ben presto la sua routine verrà sconvolta e vedrà com’è il mondo di cui non sapeva l’esistenza.
Recensione
Il film ci proietta in un ambiente di puro degrado, dove una donna tiene il proprio figlio rinchiuso in una stanza dalla nascita facendogli credere che al di fuori di essa l'aria sia contaminata, obbligandolo ad avere rapporti sessuali con lei e procurandogli dei gravi problemi psicofisici. Insomma, non esattamente un buon inizio per Bubby, che si esprime unicamente attraverso suoni e ripetendo frasi sconnesse, praticamente un Pappagallo Cenerino versione beta.
La vita, però, sembra voler dare una seconda possibilità all'ingenuo e innocente Bubby quando il padre torna a far visita alla madre, provocando scompiglio nella routine malsana del giovane, fatta di pasti a base di latte, pane e zucchero (il Dr. Nowzaradan non ne sarebbe molto contento).
In seguito a una lite con il suo vecchio, Bubby troverà finalmente la via per uscire dalla sua stanza e scoprire il mondo che lo aspetta.
Un film dall'atmosfera marcia e che esprime disagio ad ogni frame, dal sapore amaro e con un retrogusto di pessimismo cosmico, ma che strappa anche qualche sorriso davanti all'incapacità del protagonista a capire come funziona il mondo ritrovandosi nelle situazioni più bizzarre e grottesche.
A mio parere questo film è un ottimo esempio di come usare tematiche forti per dare ancora più potenza al proprio messaggio.
Vedi ad esempio il comportamento di Bubby verso il gatto, unico altro essere vivente con cui ha a che fare e fonte di sfogo ai soprusi della genitrice, e che imprime nella mente dello spettatore il concetto "La violenza genera violenza”, in un circolo da cui non si può uscire se non si hanno i mezzi necessari.
Anche la religione è un punto chiave o, meglio, la critica verso di essa dato che la madre, fervente credente, maltratta il figlio e lo spaventa proprio in nome di Gesù, mentre il padre nonostante la professione di prete si rivela essere un uomo violento e omofobo, dimostrando quanto sia facile usare una fede o un’ideologia come capro espiatorio per le proprie nefandezze. (Qualcuno ha nominato le Crociate?)
Ma dove c’è odio spesso c’è anche l’amore ed è proprio questo che accende una piccola scintilla di speranza: sia l’amore in senso lato per la musica, nuovo modo per esprimere le sue emozioni e sia in senso romantico verso la donna con gli “enormi seni”, feticismo ottenuto come bonus dalla sua cara madre. (Nice!)
Un film decisamente particolare, che mostra una storia estrema ma caricatura di situazioni che sono all’ordine del giorno, perché purtroppo di figli oppressi e genitori violenti ne è pieno il mondo.
Purtroppo una pellicola poco conosciuta che sembra essere stata gettata nel dimenticatoio, un vero peccato.
A mio parere, una perla da recuperare appena possibile se si è amanti di questa tipologia di film.
Voto personale: 8.5
Curiosità
- Nicholas Hope (a.k.a. il fantasma del primo film di Scooby Doo) si è mangiato un vero scarafaggio durante le riprese.
- Il regista ha lavorato alla sceneggiatura per oltre 10 anni.
Vi ringrazio per la lettura, da Sweeney Emily è tutto e alla prossima recensione! Allons-y!
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