Vincitore del Leone d’oro all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, Povere creature! è un racconto di formazione fantasy-grottesco diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos e ispirato dall’omonimo romanzo di Alasdair Gray.
La “creatura” protagonista della storia è Bella Baxter (Emma Stone), una giovane donna con fattezze burtoniane da sposa cadavere che “rinasce” dopo il suicidio grazie all’impianto frankesteiniano del cervello del feto che portava in grembo ad opera del chirurgo pazzoide Godwin (William Defoe), che diventerà una sorta di padre adottivo (non a caso chiamato da Bella "God", Dio).
Morte e rinascita è il binomio
che fa da incipit alla storia: tutto inizia con il suicidio di Victoria (che
diventerà, appunto, Bella) una giovane nobil-donna vestita da un luminoso abito
blu. Una scena che rievoca il finale di un'altra storia di emancipazione femminile,
quella del romanzo di Lev Tolstoj Anna Karenina. Anna si suicida quando vede
che il suo tentativo di libertà non riesce, né riesce ad avere con il suo
amante il rapporto che aveva immaginato. Ambientato nella medesima epoca tardo
vittoriana, dove la libertà quanto il libertinismo delle donne erano considerati
alla stregua di un taboo, Povere creature! non rende noto il movente del
suicidio, a differenza di quanto avviene nel romanzo di Tolstoj, ma concede una
seconda opportunità alla protagonista per lottare e raggiungere la piena
autodeterminazione.
Navighiamo fra i primi anni della
vita di Bella Baxter attraverso la sua visione tanto essenziale quanto distorta
della realtà: in bianco e nero fra le mura domestiche, circondata da creature
mutanti per metà cani e per metà oche, immersa invece nei colori pastello del
cielo come dei suoi abiti quando è all’esterno, nel mondo. Un contrasto di
elementi incalzato da una colonna sonora che si sposa a pennello con i suoi
movimenti corporei, da quelli farraginosi quando è ancora un bebè, fino alle
sensuali quanto bizzarre danze di cui darà spettacolo da neo-donna.
Le relazioni umane e la società
agli occhi di Bella sono coerenti con la visione cinica e ironica che Lanthimos
ci ha dato nei suoi film precedenti: un’immagine di un’alta società che risulta
grottesca nella sua ipocrisia e deformata come le focali grandangolari e i
fish-eye che sceglie di utilizzare, dove le convenzioni e il buon costume
finiscono per essere rappresentati in tutta la loro assurdità ed infine
ridicolizzati. Sono i retaggi imposti da questo tipo di società che Bella
proverà ad infrangere: fra ingenuità e fame di conoscenza, il primo atto di
emancipazione sarà l’autoerotismo, a cui farà seguito l’incontro con il
disgustoso casanova e scaltro avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) al
quale si affiderà completamente. Sarà grazie a Duncan che Bella scoprirà il
piacere sessuale così come il resto mondo, viaggiando fra Londra, Lisbona,
Alessandria d’Egitto, Parigi. Una vera e propria odissea attraverso cui si
compirà il passaggio di coscienza fra fanciullezza ed età adulta, sempre nello
stesso corpo, carico di femminilità vorace. Un’età adulta caratterizzata da toni sempre
più disincantati quanto drammatici, a causa della presa di consapevolezza della
crudeltà e dell’istinto di sopraffazione degli uomini da cui Bella è
circondata, sistematicamente bramosi di soldi, status e potere.
Presto Bella si renderà conto di
ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, dimostrando estrema sensibilità nei
confronti degli emarginati e degli oppressi, manifestando simpatia per il
socialismo pur mantenendo centrale il sesso e i rapporti di potere rispetto a
uomini di dubbia moralità, senza che la sua duplice vita lasci spazio a banali
moralismi. Il valore simbolico del sesso qui cambia: non è più mezzo per il
raggiungimento dell’appagamento personale ma diventa uno strumento per
guadagnarsi da vivere nonché funzionale al pagamento degli studi. La presa di
posizione del regista è evidente: si percepisce una generale insofferenza verso
una società che in passato quanto ancora oggi poggia le basi su un sistema
patriarcale. Bella infatti vive ogni esperienza perennemente circondata da
uomini che, pur con ruoli e caratteristiche diverse (vediamo ad esempio la
contrapposizione fra il religioso affetto paterno di Godwin e la corruzione
perversa di Wedderburn), tentano in qualche modo di decidere sulle sue sorti.
Tra sfondi e scenografie
sgargianti, iper-realistiche e teatrali, sontuosi costumi realizzati da Holly
Waddington che mescolano pomposità vittoriana e gonne corte anni Sessanta, Lanthimos
affronta un insieme complesso di tematiche socio-culturali riprendendo l’humor
dissacrante de La Favorita ma abbandonando questa volta l’alone di
destino tragico che aleggia intorno ai protagonisti come in The Lobster
e ne Il Sacrificio del Cervo Sacro, concedendo un finale di rivalsa personale,
ottenuta forse con troppa facilità fra battute e sentenza che, nell’ultimo
atto, rischiano di sfiorare il retorico e melenso.
Buona visione,
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