Autore: Giorgio Bassani
“Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi Contini di Micol e Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga, e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra.”
Siamo nel 1957 quando una gita alle necropoli etrusche di Cerveteri, fa riaffiorare alla mente del narratore il ricordo del cimitero israelitico di Ferrara e della tomba della famiglia Finzi Contini.
Viene così ricostruita, sul filo dei ricordi, la vicenda di una famiglia ebrea dell’alta borghesia ferrarese durante i terribili anni del fascismo e delle leggi razziali.
Dopo una breve descrizione della famiglia Finzi Contini, a partire dai lontani tempi del bisnonno Moisè, fino ad arrivare all’ultima generazione rappresentata da Alberto e Micol, la mente del narratore si sposta su una data ben precisa: il giugno del 1929, giorno in cui l’io narrante apprende di essere stato rimandato in matematica agli esami di licenza ginnasiale.
Preso dallo sconforto e dalla umiliazione, il ragazzo, in sella alla sua bicicletta, comincia a vagare per la città non avendo il coraggio di tornare a casa ad affrontare i genitori. Preso dal flusso dei suoi pensieri, si ritrova a fiancheggiare il muro di cinta del giardino della maestosa dimora dei Finzi Contini.
Qui si sente chiamare da una ragazzina bionda che si sporge dal muretto; si tratta di Micol, ragazza ben nota al narratore poiché frequenta la sinagoga dove si reca anche lui con la sua famiglia. La ragazza è al corrente della bocciatura del narratore avendo sostenuto da privatista gli stessi esami.
Dopo qualche scambio di battute, Micol lo invita a scavalcare il muro di cinta per entrare nel giardino ma egli non vuole abbandonare la bicicletta; la ragazza gli propone di posarla in una specie di grotta lì vicina, la cui entrata si presenta come una buia e ignota anticamera di chissà quale sotterraneo misterioso. Scendendo in questo cunicolo l’io narrante comincia ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere tra lui e Micol con la complicità del buio (forse un bacio e poi?) e a fantasticare di non tornare più a casa, rimanendo per sempre nella grotta in compagnia della graziosa ragazzina.
Mentre riaffiora dalla grotta, il sogno ad occhi aperti del narratore viene interrotto dall’intervento del cocchiere Perrotti che intima a Micol di scendere dal muretto. La ragazza protesta e volge al narratore un ultimo sguardo di saluto.
Passeranno così 10 anni prima che il narratore riuscirà ad oltrepassare il muro di cinta della dimora dei Finzi Contini ed entrarvi, come ospite, dalla porta principale.
La narrazione fa un balzo temporale e ci troviamo nel 1938; sono state emanate da poco le leggi razziali che vietano agli ebrei di frequentare i locali pubblici, così il narratore, ebreo anche lui, viene escluso dal suo circolo sportivo ed Alberto lo invita a giocare a tennis a casa sua insieme ad un altro gruppetto di amici che condivide la stessa segregazione.
Il narratore indugia nella descrizione di un tale di nome Giampiero Malnate, amico di Alberto e che spicca per il suo comportamento da adulto. Dentro quelle mura il narratore e il piccolo gruppo dei tennisti, sperimentano la magnificenza e l’ospitalità dei Finzi Contini.
In una specie di tempo sospeso che regala ai giovani l’illusione di poter godere ancora di una vita privata piena e soddisfacente, nonostante le severe leggi razziali, i ragazzi vivono una stagione molto felice.
Tra una partita e l’altra Micol e il narratore non perdono occasione per trascorrere del tempo tra di loro, passeggiando per l’immenso giardino, a volte in bicicletta, altre a piedi. Mentre si scambiano confidenze e battute tra i due si instaura una complicità particolare.
Un giorno di pioggia i due si riparano dentro la vecchia carrozza di famiglia, tanto cara al cocchiere Perrotti. Ripensandoci a posteriori il ragazzo rimpiange di aver perso, in quel frangente , l’ occasione per dichiararsi a Micol, rimorso che si porterà dietro per un bel po’ di tempo. Di lì a pochi mesi infatti Micol partirà per Venezia per ultimare i suoi studi universitari ed il loro rapporto proseguirà attraverso una fitta corrispondenza epistolare.
Il giorno di Pasqua, quando finalmente i due si rivedono, il narratore concretizza il suo proposito ed azzarda a darle un bacio. Micol lo lascia fare ma con poco trasporto.
Per alcuni giorni Micol sembra negarsi al telefono ed evitarlo, finché un giorno, costretta a letto dall’influenza, non lo invita ad andarla a trovare in camera sua.
Salito con l’ascensore fino alla sua stanza, un viaggio che sembra quasi l’ascesa in paradiso di Dante, il narratore si lascia prendere dal desiderio per la ragazza e prova a baciarla ripetutamente.
Micol lo rifiuta con determinazione adducendo, con cervellotiche teorie, che il loro legame di amicizia non potrà mai evolvere in qualcosa di più. “L’amore è roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi. E noi? Stupidamente onesti entrambi, uguali in tutto e per tutto come due gocce d’acqua (e gli uguali non si combattono credi a me), avremmo mai potuto sopraffarci l’un l’altro, noi, desiderare davvero di sbranarci? No per carità. Visto come il buon Dio ci aveva fabbricati la faccenda non sarebbe stata né augurabile né possibile.”
Il narratore, annientato e umiliato dal rifiuto di Micol, dubita delle giustificazioni della ragazza e comincia a credere che il vero motivo del suo diniego sia la presenza di un altro uomo.
Dopo quest’incontro tra i due il rapporto appare ormai logorato; ai diversi tentativi del ragazzo di farsi avanti seguono da parte di Micol nuove forme di allontanamento finché la ragazza, esasperata dalla sua insistenza, non gli suggerisce di farsi vedere meno spesso alla magna domus.
L’inesorabile distacco tra i due porta il narratore ad avvicinarsi all’amico comune Giampiero Malnate, che invece continua a frequentare Micol e a giocare con lei a tennis abitualmente.
Sarà proprio l’atroce sospetto che Malnate abbia una relazione clandestina con Micol che porterà il narratore ad allontanarsi definitivamente da lei e dalla sua famiglia, fino al tragico evento della deportazione.
Il Giardino dei Finzi Contini è il romanzo italiano che più di ogni altro ha saputo raccontare la tragedia delle leggi razziali, fondendo i turbamenti privati del giovane narratore nei confronti dell’ammaliante quanto sfuggente Micol, con la straziante minaccia nazifascista che incombe su un intero popolo, nell’intento di spazzarne via i sogni e le speranze.
Non esiste un romanzo che sappia parlare di nostalgia come Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani; un romanzo che nasce dal desiderio del narratore di salvare dall’opera distruttrice del tempo, un periodo della sua vita a lui molto caro.
Egli è sicuro che solo il ricordo può ridare consistenza agli anni e ai fatti trascorsi nella propria vita e in quelli altrui; solo il ricordo può giustificare ciò che è accaduto, così seppure dopo diversi anni, si appresta a raccontare la storia di una famiglia dell’alta borghesia ferrarese e del loro piccolo mondo, tutto ormai compreso tra le mura di cinta del giardino.
Ma nel raccontare di loro e della sua infatuazione per Micol, il narratore intesse un racconto di larghe e profonde tematiche morali, civili, psicologiche e sociali. L’incomparabile giardino, simbolo di un paradiso terrestre all’interno del quale viene a definirsi un micro mondo, è la metafora di un passato insidiato dal progredire del tempo.
La storia d’amore sofferta e non corrisposta, le disquisizioni poetiche tra il narratore e Micol, mi hanno portato alla mente un altro romanzo di tutto rispetto, ovvero “Una questione privata” di Beppe Fenoglio.
Il romanzo è architettato sul ricordo e il tempo che vi regna è il passato; un passato tuttavia, che per la vividezza dei particolari, la memoria riesce a fissare in eterno; “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio? Più di trenta. Eppure se chiudo gli occhi, Micol Finzi Contini sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino che mi guarda e mi parla.
Questo sembra dirci infine il narratore nell’epilogo; di Micol, anche se non avrà mai nemmeno una tomba su cui piangerla, resterà per sempre il ricordo di un’immagine eterea, di una donna fiera, determinata, ribelle, troppo intelligente per poter credere di avere un avvenire, perciò sempre proiettata nel passato, nel “caro dolce e pio passato”, in cui eternamente vivrà.
Non esiste un romanzo che sappia parlare di nostalgia come Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani; un romanzo che nasce dal desiderio del narratore di salvare dall’opera distruttrice del tempo, un periodo della sua vita a lui molto caro.
Egli è sicuro che solo il ricordo può ridare consistenza agli anni e ai fatti trascorsi nella propria vita e in quelli altrui; solo il ricordo può giustificare ciò che è accaduto, così seppure dopo diversi anni, si appresta a raccontare la storia di una famiglia dell’alta borghesia ferrarese e del loro piccolo mondo, tutto ormai compreso tra le mura di cinta del giardino.
Ma nel raccontare di loro e della sua infatuazione per Micol, il narratore intesse un racconto di larghe e profonde tematiche morali, civili, psicologiche e sociali. L’incomparabile giardino, simbolo di un paradiso terrestre all’interno del quale viene a definirsi un micro mondo, è la metafora di un passato insidiato dal progredire del tempo.
La storia d’amore sofferta e non corrisposta, le disquisizioni poetiche tra il narratore e Micol, mi hanno portato alla mente un altro romanzo di tutto rispetto, ovvero “Una questione privata” di Beppe Fenoglio.
Il romanzo è architettato sul ricordo e il tempo che vi regna è il passato; un passato tuttavia, che per la vividezza dei particolari, la memoria riesce a fissare in eterno; “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio? Più di trenta. Eppure se chiudo gli occhi, Micol Finzi Contini sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino che mi guarda e mi parla.
Questo sembra dirci infine il narratore nell’epilogo; di Micol, anche se non avrà mai nemmeno una tomba su cui piangerla, resterà per sempre il ricordo di un’immagine eterea, di una donna fiera, determinata, ribelle, troppo intelligente per poter credere di avere un avvenire, perciò sempre proiettata nel passato, nel “caro dolce e pio passato”, in cui eternamente vivrà.
Qui il libro
Serena Bufano
Serena Bufano
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