The Dark Side Of The Moon Redux: Recensione Dell' Album



   Autore: Roger Waters


Signori, The Dark Side Of The Moon, l’album dei Pink Floyd compie cinquant’anni. Dieci lustri in cui “Ogni fottuto hippy si interroga sul significato di quel cazzo di triangolo” (Cit.), cioè l’iconica copertina con prisma che separa lo spettro dei colori.

Cinquant’anni di ciclo lunare, un’orbita che gira sul piatto degli ellepì e dei cd in versioni sempre più rimasterizzate, un satellite fatto di alienazione, follia, tic inglesi, musicato dalle chitarre sognanti di David Gilmour, la batteria dai quattro quarti lenti di Nick Mason, le tastiere liturgiche del compianto Rick Wright, e il basso pulsante e i testi agrodolci del Roger Waters, cranio tirannico di tutto il concept album.

Proprio il dittatore Waters è tornato sul luogo del delitto (o dell’allunaggio oscuro) col rifacimento di quello che è considerato uno dei più famosi e venduti album della storia. Redux, il ritornante. Ovviamente senza i Floyd, coi quali ha chiuso la partita da più di trent’anni. Provocazione? Voglia di provocare travasi di bile al rivale Gilmour? No, dichiarazione d’intenti.

Subito sono stato tiepido alla notizia di questo Redux. Lo immaginavo minimalista, sussurrato, recitato, sarcastico, insomma quello a cui Waters ci ha abituato da quarant’anni. L’anticipazione di Money (du-du-dundun-dun-dun-dun) mi ha confermato la temperatura. Poi sono arrivate Time e Speak to me/ Breathe, ed allora ho avuto la chiave. Got it, Rog.

Giù le tonalità, parti riscritte per l’età (l’ottantina buona), batteria accarezzata, theremin, sarangi, cori, via le chitarre, un po’ di synth e si parte:

Speak to me è geniale. Sul celebre battito cardiaco Roger recita Free Four, brano tratto dal sottovalutato album dei Floyd Obsured by the clouds. Ed ecco la chiave, il programma-

The memories of a man in his old age / are the deeds of a man in his prime /But you are the angel of death / And I am the dead man's son. Cortocircuito perfetto. Chepeau. Il brano si lega a Breathe, la prima delle tante esauste confessioni, asciugata del Pink ingredient, ma robusta. Il mood è questo, prendere o lasciare.
 

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On the run, che nella versione originale non mi ha mai convinto, troppo synth per i miei gusti, qua trova il suo upgrade rumoristico migliore, incidente d’auto compreso nel prezzo. Time prosegue nel solco, con Waters che sembra ticchettare i suoi ultimi istanti, cullandoli mentre ticchettano via, quieto. Macabra buonanotte, la ripresa di Breathe con la stessa allegria di Novembre di Pascoli. The Great Gig in the Sky, il monumento di Wright e soprattutto dei vocalizzi di Claire Torry è ripensata totalmente: sempre morte, buio e angoscia, attraverso la vena asciutta del nostro tiranno.

Money è la meno interessante del lotto, una moneta da tre euro, forse soffre troppo la celebrità dell’originale. La melodia è sempre il 7/4, ma è l’unico brano in cui Waters diventa la maniera di sé stesso. Meglio passare ad Us and Them, che in certi passaggi ricorda le atmosfere di The Wall e le restanti Any Colour you like, Brain Damage e Eclipse con la nuove vesti da fantasmi dei natali futuri.

Una vera propria eclisse lunare questo disco, ma come ci sussurra lo stesso Waters alla fine: Non è poi così oscuro, non è vero? Non per tutti e da centellinare negli ascolti. Chi cerca un tributo qua lo trova, chi cerca il lato più chiaro e musicale può recuperare, Waters dixit, i Fucking Floyd e andare al bar!

Waters ha chiuso il cerchio, o meglio ha rovesciato il triangolo. Ed è più incazzato e scuro che mai.

Qui l'album.

Buon ascolto,

Enriorso



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