Regia: Mario Bava, Alfred Leone
Succede quando un artigiano di nome Mario Bava – armato di quattro spicci e due chili di fantasia - ti firma alcuni buoni successi commerciali – chiede a te, Alfred Leone, produttore, mentre sei impegnato a farti uno shampoo con lo champagne comprato con gli incassi di tali pellicole, un piccolo favore: girare un film in completa libertà.
Avrebbe giusto un soggetto (scritto a più mani) in un cassetto, una cosina a cui tiene molto, non è che glielo lasceresti girare? Ma perché no, champagne per tutti e pure qualche shampista che te lo versi addosso, vedi già gli incassi! Stacchi l’assegno e aspetti il risultato.
Bava ti arriva nel 1973 con Lisa e il Diavolo. La turista americana Lisa (Elke Sommer), mentre è in vacanza a Toledo, ha un mancamento alla vista di un affresco raffigurante il diavolo, che le comparirà poco dopo nei panni del maggiordomo Leandro (la crapa pelata e il profilo greco di Telly Savalas/Kojak, anche qui degustatore di lecca-lecca – per condurla in una villa fuori città dove, assieme ad altri personaggi lei rivivrà eventi del passato fra sogno e realtà. Oppure è il diavolo/maggiordomo/Kojak che si diverte ad usare le anime come burattini? Lo vedi che Marione si diverte, è il suo film della vita.
Ci sono Telly Savalas, sornione e infernale come certi doccioni di pietra a Notre-Dame, che importa i bon bon del suo personaggio più famoso, Alida Valli nei panni della nobile cieca, Sylva Koscina e Alessio Orano, nonché la Lisa del titolo, quel pezzo di nordica di Elke Sommer. Bava li tratta tutti come manichini, più che in Cinque Bambole per la Luna d’Agosto o l’atelier di Sei Donne per L’assassino, fregandosene della logica e pure dell’orrore. Poesia, necrofilia ed ermetismo (e pure qualche sbadiglio).
Un film così è invendibile. Non ci compri manco i soldi per i cartoni vuoti del Tavernello e anche se lo porti a Cannes, non lo rilanci, altro che Beau Ha Paura o Mulholland Drive; non vuoi quattro stelle dai critici e due spettatori in sala quindi, via, ‘sta Lisa finisce dritta nel cassetto da dove è venuta, che schifo hai tutte le mani impiastricciate di lecca- lecca. Bleah! Me le laverò col lambrusco.
Poi però arriva L’Esorcista, e vedi che il purè di piselli e il vocione di Belzebù vendono a vagonate; quindi, hai il colpo di genio (maligno ma senza corna e coda): “e se prendessi Lisa e il Diavolo, ci aggiungessi delle scene ad minchiam di esorcismo, cambiassi un po’ la storia, tipo: La turista americana Lisa (Elke Sommer), mentre è in vacanza a Toledo, ha un mancamento alla vista di un affresco raffigurante il diavolo, e viene esorcizzata da padre Mike (così, tanto per gradire) e poi lo intitolo con gran sforzo di fantasia, La Casa dell’Esorcismo? Hai visto mai che ci faccio due bottiglie di brut…Massì, faccio girare scene aggiuntive a Marione e…No, Bava rifiuta.
Però ti manda suo figlio Lamberto “ad assisterti” (tradotto: evitare che tu faccia cazzate sul set), così ci litiga lui con quella rompipalle della Sommer che vuole girare tutte le scene insieme così ha il week-end libero e intanto tu rimpasti il film peggio del purè di piselli, ci butti pure qualche inserto hard senza manco preoccuparti della continuità, di fare un film a blocchi con due fotografie diverse…Così puoi andare a festeggiare tranquillo ai party, hai creato lo strano caso del dottor Mario e mister Bava, un obbrobrio.
Porta pure il vino, le noccioline te le lanceranno gli spettatori.
Buona visione,
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