Sarò sincero e conciso, io sono uno di quelli che distingue e cataloga le persone in due gruppi specifici: chi ha adorato alla follia GTA San Andreas e chi non l’ha apprezzato.
Puoi essere di qualunque colore, estrazione sociale, religione o tifoseria, e darò la vita per la tua libertà, ma dimmi che non ti è piaciuto San Andreas e ti discriminerò con tutte le mie forze per l’eternità. Premesso ciò, mi piacerebbe che questa recensione risultasse il più obiettiva possibile…ma così facendo, non sarebbe ugualmente divertente.
Era il lontano 2004. Il sottoscritto aveva appena dieci anni, per cui le capacità mentali di un orango appena istruito. Nonostante ciò, avevo abituato il mio cervello ad attività che comportavano un atto che al giorno d’oggi noto molto più di rado: pensare. Cercavo di occupare tutta la mia materia cerebrale e così leggevo, ascoltavo musica, disegnavo, praticavo sostanzialmente ogni sport praticabile da un minorenne e, ultimo ma non ultimo, videogiocavo. Ovviamente, leggevo un sacco di riviste che riguardavano i videogiochi. Fu in una di quelle che lo vidi, la prima volta. Tengo ancora le pagine conservate. Grand Theft Auto San Andreas, titolone su due pagine, sfondo con immagini estreme di esplosioni e barbieri, il sottotitolo – provo a parafrasarlo – era qualcosa come “il gioco in cui puoi fare tutto”. Niente da fare, doveva essere mio. È evidente che fossi troppo piccolo per poterci effettivamente giocare, per cui riuscii a comprarlo solamente l’anno successivo, quando ne ebbi compiuto undici.
È difficile parlare di ciò a cui si tiene veramente, sarà per questo che le canzoni d’amore sono sempre così vaghe, anche se nel titolo c’è nome, cognome, cosa e città.
Sta di fatto che sono diciassette anni che questo gioco mi accompagna, mi sopporta e mi sostiene, e se mai dovessi scrivere una canzone su GTA San Andreas, sarebbe incredibilmente precisa e ricca di dettagli, oltre che rime.
Prima di cominciare l’effettiva recensione, che sarà suddivisa in sezioni per ambiti che vengono scelti da una giuria di miei pari, mi preme sottolineare che, al di là del fare goliardico, suddetta critica deve essere presa e interpretata molto seriamente; vi basti sapere che il recensore ha analizzato ogni aspetto di tale videogioco alla stregua dell’ossesivo-compulsività, e conosce il vudù.
Giocabilità
Parola da vecchio magazine morto e sepolto, ma fulcro dell’esperienza videoludica, essenza stessa dello spirito della serie GTA.
Ci insegnano che si può fare bene una cosa, o male tante. Nulla di più avulso dalla mente di quei pervertiti della Rockstar. Volete sparare agli sbirri? Rubare nelle banche? Aizzare una guerra fra gang per il territorio? Scappare da un mafioso che vi spara, in bici? Volete inseguire col vostro motocross un gruppo di messicani sopra un treno? O magari fare una gara su circuito contro un cieco, pilotare un aereo di linea ad altezza cavi della luce, puntare scommesse sui cavalli o in una partita a biliardo nei peggiori bar di Los Santos, accumulare tanti soldi da comprare case solo per riuscire a trovare una sistemazione alle innumerevoli (e mi sto trattenendo) automobili disponibili, ovviamente customizzabili neanche fossimo in Need for Speed? O forse, più semplicemente, riempirvi il guardaroba di ammennicoli più che superflui, cambiare acconciatura e barba ogni paio di giorni, modificare il vostro fisico in base alla vita che conducete, che vogliate andare in palestra o al fast food (un consiglio, cercate di evitare quella brutta bestia che è la bulimia da Meat stack meal di Burger Shot), o meglio, portare a cena fuori la compagna ed essere ricompensati tra le coperte (manette e dildo giganti inclusi), e che dire del classico “paghi la prostituta, scopi la prostituta, investi la prostituta, riprendi i soldi e ripeti”?
Che tempi politicamente anodini.
Missioni secondarie di ogni tipo, per non parlare della mole d’incarichi vari ed eventuali che brulica per tutto l’immenso territorio esplorabile: potete fare il paramedico a Vinewood e sperare di salvare la vita di qualche attorucolo riconoscente, o il tassista a San Fierro, cercando di non esagerare col gas nella fittizia Lombard Street per un briciolo di mancia in più (avete mai provato a fermarvi davanti a un semaforo rosso?), o il rude agente di polizia che caccia i white trash dalle roulotte abusive e ferma i criminali a suon di manganellate, o l’impavido pompiere nel deserto di Bone County, ma perché mai lo vorreste? Andatevene al casinò, piuttosto! Lì sì che farete i bei soldoni, sempre che abbiate collezionato un po’ di quei ferri di cavallo sparsi per tutta la mappa, perché così aumentate la statistica fortuna. Aspettate un attimo, “statistiche”? Avete sentito bene, come quelle di un GDR. Beh, non proprio, ma quasi. Insomma, penso che se dovessi continuare a elencare tutte le possibili caratteristiche in-game, dovrei iniziare a farmi pagare a parola.
Le meccaniche di gioco non saranno sempre precisissime o perfettamente differenziate, ma data l'immensurabile struttura comprendente le più svariate situazioni di gameplay viste fino a quel momento, non mi sento affatto esagerato nell’elogiare le qualità videoludiche del prodotto manco io fossi una ragazzina quattordicenne e il recensito fosse un insieme di Channing Tatum e Matthew McConaughey in Magic Mike.
Sonoro
Ci sono giochi che fanno vanto della propria colonna sonora originale, poi c’è GTA San Andreas, che può vantarsi di licenze che oggi chiunque si scorderebbe, anche la Rockstar stessa. Undici stazioni radio (dodici se contiamo quella personalizzabile con tutte le nostre canzoni, ma allora di che staremmo a parlare?), centocinquanta canzoni ufficiali distribuite in stazioni tematiche. Vi piace il metal? Ozzy Osbourne, Elmet, Rage Against the Machine, Soundgarden, Alice in Chains, Guns ‘n’ Roses, sono solo alcuni (vi do una dritta, quando leggete una cosa simile, di solito sono i preferiti del recensore) dei grandissimi artisti che potrete spararvi al massimo mentre col vostro Jeep passate sopra l’utilitaria di una vecchietta nelle campagne di Los Santos. Preferite un rock più classico? The Who, Lynyrd Skynyrd, Kiss, Boston, David Bowie, Creedence Clearwater Revival, sono persino riusciti a farmi apprezzare Rod Stewart! Volete sentirvi in Jamaica almeno quanto Big Smoke? Il meglio del Reggae pre-anni novanta lo trovate su K-Jah West: Toots & the Maytals, Max Romeo, Black Uhuru, e ora ditemi perché dovrei continuare a fare nomi che nessuno di voi sicuramente conoscerà? Gente, qui c’è la storia della musica occidentale moderna. Trovate il vero funky, non quello da villaggi turistici, James Brown (e il fatto che non vi sia “I feel good” è emblematico della ricercatezza di quei geniacci di Rockstar), Bobby Byrd, Lyn Collins, c’è persino Booker T coi suoi M.G.’s, gli albori, una di quelle poche canzoni che veramente chiunque ha sentito. C’è la storia del Rap, dai vecchi Masters of Ceremonies della East Coast alle leggende della West Coast: Public Enemy, Brand Nubian, NWA, Compton’s Most Wanted, 2Pac, Ice Cube, Dr. Dre & Snoop Dogg, i Cypress Hill, e solo dopo averli ascoltati potrete lamentarvi dello stupidissimo rap moderno.
Ci sarebbe da parlare anche di tutte le altre: io, spesso, quando nessuno poteva sentirmi, cambiavo sulla stazione radio country e duettavo con Willie Nelson, Hank Williams o Jerry Reed. Un peccato di gioventù. Ho invece sempre detestato quella di Contemporary Soul e per buona parte anche quella che proponeva la musica in voga negli ambienti di San Francisco durante i primi anni novanta, una sorta di acid house da collettivo psichedelico.
Oppure siete le uniche persone al mondo a cui non piace la musica? Benissimo, la vostra radio preferita sarà una sorta di “Pomeriggio su canale 5” in versione podcast, ce n’è davvero per tutti e vi assicuro che se sono diventato il musicista fallimentare che sono oggi, è per gran parte merito e colpa di questo gioco.
Onori speciali alla resa recitativa: il doppiaggio originale, seppur abbandonando le partecipazioni di professionisti rinomati come nei capitoli precedenti (anche se sarebbe stato davvero epico un CJ interpretato da Antonio Banderas), riesce a coinvolgere e dare un senso di realismo, seppur trash, davvero immersivo: ogni voce vive di personalità propria, con slang e caratterizzazioni al limite del surreale. Quanti pugni in faccia avrei voluto dare alla voce di Ryder - non a Ryder, poveretto, solo a quella sua dannatissima voce.
Queste ultime, come i dialoghi dei personaggi principali e secondari, sono curate maniacalmente, forse peccando un po’ di varietà per quelle veramente di contorno (pedoni, venditori ed npc vari), ma vista la mole del gioco, e il periodo in cui uscì, non lo si può certo denigrare per questo. Non provateci nemmeno.
Grafica
Al giorno d’oggi? Decisamente invecchiata e leggermente obsoleta (gli aficionados direbbero “vintage”). Al giorno del debutto? Il motore grafico più stupefacente mai visto. L’emozione che si prova viaggiando per gli agglomerati di San Andreas è più viva che mai, un po’ come quando si guarda il Colosseo e ci si chiede come diavolo facessero a costruire certe strutture con i pochi mezzi a disposizione del tempo (non sono mai stato una cima in storia).
Giochi di luce avanzatissimi, effetti atmosferici dinamici realizzati egregiamente, montagne imponenti, laghi interminabili, grattacieli degni di tale nome, fitte reti autostradali, spiagge paradisiache (se Santa Monica beach è il vostro standard di “riposo eterno”), fanno da cornice al fulgore di Las Venturas, all’eleganza di San Fierro e alla nostalgica e all american Los Santos. Il level design sfiora l’assurdità dei sogni più grotteschi di Poe, per la complessità analitica che vi è stata dedicata in fase di sviluppo.
L’interfaccia è la classica della serie GTA, stilisticamente adeguata al tema e all’epoca d’ambientazione, senza infamia e senza lode, ma sempre iconica e, quantomeno, mai invasiva (ve le ricordate le interfacce che non uscivano dallo schermo per prendervi a schiaffi? Ecco, schiaritevi le idee).
Longevità
Poco da dire, sul fronte occidentale.
17 anni. Qualcosa come un gilione di ore. Questo gioco è l’anello mancante della teoria della relatività. Volete i numeri? Tutti? Non ce li ho. Ma ne volete alcuni? Ecco a voi: 101 dalm… ehm, missioni, per concludere solamente la storia principale che, se siete abili in ogni tipo di E-sport e avete la pazienza di Sisifo, forse avrete la fortuna di terminare in non meno di 30-40 ore. Se volete infilare pure le secondarie, si parla di 100 ore circa. Se volete inoltre aggiungere l’esplorazione del mondo aperto in ogni suo anfratto per un completamento totale e catartico del gioco, allora dovreste chiedere un anno sabbatico e iniziare a imparare come trattenere il piscio a lungo.
E questi sono numeri, signori, mica fuffa.
Conclusione
Sembrerò eccessivo, ma GTA San Andreas è Il Gioco, o quantomeno, lo è stato. Penso che io abbia già sviolinato abbastanza le qualità intrinseche di tale magniloquente opera videoludica per cui permettetemi ora, in fase conclusiva, di puntare il dito contro le gravissime mancanze di questo gioco: l’intelligenza artificiale spesso non è degna della versione ubriaca di ChatGPT e ad alcune texture di secondo piano (come alcune finestre o vetrine) andrebbe data una bella mano di stucco, ma la mancanza più grave, ciò che inficia indelebilmente e macchia un altrimenti perfetto esperimento della tecnologia contemporanea è uno, e uno soltanto: non potete farvi le canne con Ryder. Maledetto MOIGE americano.
Buon divertimento,
Trailer
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