Regia: Terence Hill
Con buona pace di Giovanni Guareschi, a cui proprio i dentoni dell’attore marsigliese non piacevano e avrebbe voluto qualcuno di più corpulento per il suo pretone della Bassa, tipo Spencer Tracy. Ma anche Gastone Moschin è riuscito a non farcelo rimpiangere nell’ultimo film della serie, Don Camillo e i Giovani d’oggi, girato per finire la saga (e il film) lasciati incompiuti proprio da Fernadel, morto nel febbraio del ’71. E a cinquant’anni di distanza, io e molti altri fan aneliamo di vedere il girato di questo misterioso film, dicendoci che sì, con le tecniche di oggi si potrebbe completarlo…
Questo perché l’equazione Fernandel & Gino Cervi = Don Camillo & Peppone è nei cuori degli spettatori del mondo, visto che puntualmente ad ogni replica televisiva dei cinque film della serie l’audience sale alle stelle. Guareschi prima, e il cinema poi, hanno creato una fiaba che incanta ancora oggi, uno specchio di com’eravamo nel dopoguerra e nei primi Anni Cinquanta.
Poi un bel giorno, quarant’anni fa, arriva un signore di nome Mario Girotti meglio noto come Terence Hill, abituato anche lui a stare in coppia con un barbuto extralarge ad elargire pattoni in giro, -che su consiglio di sua moglie Lori, lettrice dei libri di Don Camillo - pensa che questo personaggio gli calzerebbe ad hoc. Quindi decide di farne un remake, dirigendolo e interpretandolo, sentendosi un po’ il Celentano della situazione. Ma di Molleggiato buonista, ecologista, pace & bene, ce n’è uno, gli altri poveri Cristi son nessuno.
Don Camillo (Hill) è il parroco di Brescello che litiga col sindaco comunista Peppone (Blakely), scazzottandosi nel campanile, parla col Cristo dell’altare, fa processioni, va in moto, indossa i jeans sotto la tonaca (ciofane d’oggi) e cerca di far vincere la partita di calcio alla sua squadra, gli Angels, contro i Devils di Peppone. Per fortuna il vescovo vigila…
Nelle mani di Terence Hill il lambrusco di Guareschi diventa un sidro sciapo. In pratica fa le prove generali per il suo futuro Don Matteo, mischiandolo con i suoi Trinità e dimostrando di non aver capito la lezione di Guareschi e dei film di Duvivier.
Il suo è un Don Camillo da ACR “con troppa America sui manifesti”, giusto per citare una canzone coeva. Terenzino è più preoccupato di acchiappare il pubblico americano che di rinverdire una saga già difficile da aggiornare di suo, primo perché è un’Italia (il Mondo Piccolo dei romanzi) che non c’è più, e poi perché è tradizione pensare a Fernandel & Gino Cervi, che il bianco e nero dei cinque film e mezzo, rendono ancora più fiabeschi.
Vari episodi funzionano pure, tipo la storia del fantasma senza testa (presente solo nella versione estesa passata in tv), per il resto troppi schiaffoni, troppe partite di pallone, troppi momenti cantati in inglese che sembrano la versione parrocchiale della famosa pubblicità della Coca Cola (ad opera di Pino Donaggio) e un Peppone fatto a forma di Colin Blakely, ottimo altrove (Vita privata di Sherlock Holmes), ma qui spaesato. Allora sarebbe stato più interessante chiamare Bud Spencer per una fagiolata e lambrusco. Magari avrebbe funzionato di più, per lo meno come coppia. Chissà se da lassù Guareschi avrebbe approvato…oppure se sarebbe andato a prendere un ciocco di soppiatto, prima di venire bloccato dalla voce di Cristo. “Giovannino, metti via.” “Ma Signore è pioppo, leggero…”
E per contrappasso gli sarebbero spuntati i dentoni di Fernandel… Che per fortuna ce n’è sempre uno, anzi cinque e mezzo, da rivedere almeno una volta all’anno.
Buona visione,
Si, Fernandel è Gino Cervi avevano reso mitica la serie adattata ai film di Guareschi, e replicarla sarebbe stato impossibile
RispondiEliminaVery thoughtful bloog
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