Dieci Piccoli Indiani: La Recensione del Libro e di Alcuni suoi Adattamenti



Autori/Registi: Agatha Christie, Renè Clair, George Pollock, Peter Collinson, Alan Birkinshaw


Nel 1939 Mary Westmacott, meglio come Agatha Christie, scrive il suo romanzo giallo migliore, Dieci Piccoli Indiani, storia di peccati e punizioni, sospetti e paranoie. Il perfetto meccanismo di morte e suspence. Ed è (quasi) subito cinema. Lettori alla sbarra: l’avete letto?

Si narra di dieci sconosciuti, con qualche peccatuccio sulla coscienza, che vengono invitati in una villa molto fuori mano, a Nigger Island da tale Mr. Owen. Durante la cena, verrà messo un disco su grammofono che accuserà ciascuno di un omicidio. Dopodiché cominceranno a morire uno via l’altro, secondo il ritmo di una macabra filastrocca, dieci piccoli indiani (negretti, nell’originale)

…e poi non rimase nessuno, come recita il sottotitolo italiano.

È la stessa zia Agatha a intuirne le potenzialità di una trasposizione teatrale, con un piccolo cambio di finale: gli ultimi due indiani, Philip Lombard e Vera Claythorne sono innocenti e riescono a sfangarla, smascherando l’assassino. Questa versione sarà anche alla base di un bel po' di pellicole cinematografiche inaugurate nel 1945, con Dieci Piccoli Indiani per la regia di Renè Clair, con Walter Houston (padre di quel John Huston e nonno di quella Anjelica) nel ruolo del dottor Armostrong, il medico alcolizzato reo di aver operato sotto spirito. In bianco e nero, viene considerato il migliore, più giallorosa e raffinato che un thriller cupo. Insomma, il primo della classe perfettino. Ma noi di Recensissimo che siamo più di bocca buona (leggi: alla boia d’un Giuda) teniamo di più alle versioni successive. Sì, perché praticamente ogni versione è un po’ lo specchio dei tempi, con ambientazioni diverse e background aggiornati.


Passano gli anni, e il produttore Harry Alan Towers (quello a cui dobbiamo una fetta di film di Jess Franco, per capirci) produce ben tre versioni, una a decennio usando però sempre il canovaccio teatrale. Amore? Ossessione? Oppure opzioni sui diritti in scadenza e non voleva mollare l’osso?

Della prima firma pure la sceneggiatura, Dieci Piccoli Indiani, vent’anni dopo quello di Clair (1965, sempre in bianco e nero, per l’ultima regia di Georg Pollock), questa volta ambientato in una baita alpina raggiungibile solo con funivia. Di tutte questa è la versione più “da varietà”; niente più aristocratici e buona società, ma cantanti pop e dive di spettacolo. Troviamo Shirley Eaton, Mario Adorf e quella mezza principessa delle tenebre Daliah Lavi, che un paio d’anni prima si faceva fustigare da Christopher Lee ne La Frusta e il Corpo. Non l’ho infilato a caso (brighelle!) visto che lo zio Chris presta la “voce” di Owen al grammofono.




Towers ci riprova nel 1975 con …E poi non ne rimase nessuno, anche se non è vero, visto che si usa sempre il finale positivo. Però ce ne andiamo in un oasi nel deserto iraniano, col cast annunciato in ordine di sparizione. Il film è un bel mischione di coproduzioni europee e attori di tutto il cinema dalla A alla Bis come si faceva allora: Oliver Reed, Elke Sommers, Herbert Lom, due ex villan del Bond-Connery: Adolfo Celi (Thunderball) e Gert Frobe (Gooooldfigàààr, scusate mi è partita la sigla). C’è pure Charles Aznavour, mentre la voce di Owen è di Orson Welles, probabilmente pagato un gettone del telefono. Suggestiva l’ambientazione, ricco il cast ma… A tratti gira un po’ a vuoto. Buono per un sabato pomeriggio che piove, o se vi interessa aggiunger un’altra tacca al vostro dizionario fate pure.

A questo punto probabilmente Towers è bollito perché nel 1989 ha l’idea di produrre un’altra versione ancora più stracotta, ma ambientata nella savana! (Ah beh, allora…). Chiama Alan Birkinshaw e ripesca Herbert Lom stavolta nel ruolo del generale rincoglionito (ma anche il resto del cast non scherza) e dà la parte di Lombard a Frank Stallone, fratello di Sylvester, che negli ultimi dieci minuti pensa di essere su qualche set di action del fratello a metà tra Indiana Jones e Rambo dei poveri. Più indigesto di un piatto di peperonata fredda alle tre del mattino.


Per fortuna che dalla Crimea (ops!) nel 1987 arriva il colpo di scena: Desjat’ Negritjas, diretto da Stanislav Govurochin. In un villino a strapiombo sul mar di Crimea vengono invitate otto persone più due di servitù con cena e grammofono accusatore inclusi. Non ne rimase nessuno a lasciare pessime recensioni su TripAdvisor. Questa è la versione migliore: attori sconosciuti in Occidente, il finale originale del romanzo, un’ atmosfera cupa aiutata dall’ambientazione “naturale” fra rocce e dirupi e due ore che scorrono come una. Chissà se sarebbe piaciuto alla cara Agatha…A me sì, per cui vi consiglio di rintracciarlo sul Tubo o dintorni.

In alternativa, potete gustarvi la versione televisiva Dieci Piccoli Indiani in tre puntate con identico finale nero, trasmessa nel 2015 in occasione delle 125esimo anniversario di nascita di Mrs. Christie. Cupa ed elegante quanto basta, non importa che abbiate letto o meno il libro.

Perché la Zia, come i suoi assassini, torna sempre sul luogo del delitto…

Lettori alla sbarra, che fate?

Buona lettura/visione!


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