Regia: Noah Baumbach
Il film di apertura della Mostra d’arte cinematografica di Venezia 2022 è stato White Noise – Rumore Bianco diretto da Noah Baumbach, con Adam Driver nei panni di Jack Gladney, professore universitario specializzato in studi hitleriani, e Greta Gerwig, (nonché compagna nella vita del regista stesso) che interpreta la moglie di lui, Babette, insegnante di ginnastica posturale.
Si tratta di un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo dello scrittore statunitense Don DeLillo, che ai tempi (era il 1985), si era aggiudicato il National Book Award per la Fiction. Il rumore bianco indica un suono sordo, sottile, usato per mascherarne altri, che si manifesta naturalmente nell'ambiente e che favorisce l’addormentamento.
In compagnia dei rispettivi figli, nati da altri precedenti matrimoni, Jack e Babette condividono una quotidianità chiassosa e piena di distrazioni, ovattata proprio da quel white noise che, in questo caso, è rappresentato dalle continue domande senza senso poste dai figli, fra una corsia di supermercato e l’altra, anche con l’apocalisse dietro l’angolo. È infatti l’intero film a ruotare attorno a dilemmi ontologici, discorsi intellettualodi (come quelli tra Jack e i colleghi professori), comportamenti ottusi (la frenesia con cui si riempie il carrello della spesa), ossessione del complotto e nascondigli domestici fallimentari, nel frattempo masticando una chewing gum senza zucchero ed esultando se per cena ci sono le alette di pollo al chili. Il main topic però è uno e uno solo: la paura della morte.
Ambientato nel Midwest degli Stati Uniti, il film si suddivide in tre atti. La prima parte, che si apre con una sequenza video di incidenti automobilistici proiettati in un’aula universitaria, è una cronaca dell’assurdo della vita di famiglia, insieme a una satira sul mondo accademico. Emblematica, in questo senso, la scena della disquisizione fra Jack e il prof. Murray Siskind sulle vite di Elvis e Hitler, sovrapposta alla sequenza dell’incidente fatale che aprirà il secondo atto. Disquisizione, quest’ultima, allusiva al fatto che alcune figure storiche simboleggiano l’unica soluzione di sopravvivenza alla morte, proprio in ragione dell’importanza attribuitagli dalle masse.
Nel secondo atto, una fuoriuscita di materiali chimici da un vagone ferroviario causa la formazione di una nuvola tossica nella zona in cui vive la famiglia, rendendo necessaria un'evacuazione collettiva che culminerà in code interminabili in automobile ed episodi di panico di massa fra gli sfollati. Una successione di eventi che darà sempre più spazio alla riflessione sulla paura della morte nella società moderna, e che sfocerà nell’ossessione di Babette nei confronti di uno psicofarmaco illegale chiamato Dylar.
Il terzo atto vede Jack e la figlia di Babette indagare sulla pillola misteriosa assunta dalla donna (che le provoca, tra le altre cose, continui vuoti di memoria), con lo scopo di risalire al fornitore. Questa parte del film cambia completamente ritmo, fotografia e ambientazione rispetto alle prime due: si passa infatti a una sequenza che ricorda stilisticamente un noir moderno, fra vecchi motel, luci neon, pistole, suore profane e carte da parati a fiori. Un mix di elementi sfruttati dal regista per rappresentare un’altra tematica centrale: lo sgretolamento della famiglia tradizionale.
La presenza di un uomo, perennemente in penombra, di cui si riconoscono solo gli unti e radi capelli che scivolano sulla nuca e una cicatrice sulla mano destra, diventa allegoria della più inconfessabile paura del protagonista, alla stregua di un personaggio Lynchiano: l’atmosfera noir, coronata da un interessante alternarsi di oscenità e suspense, fa presagire il peggio, ovvero l’ennesima rottura matrimoniale.
Da un punto di vista tecnico, ancora una volta Baumbach dà prova dell’estrema abilità di scrittura, grazie ad una sceneggiatura incalzante, originale, complessa, di cui se ne riconosce il taglio soprattutto per il realismo degli stravaganti momenti di vita quotidiana che difficilmente oltrepassano le mura domestiche. La fotografia, in contrasto con il chiasso che domina le vicende dei personaggi, è ordinata, pulita, perfettamente adattata ad ogni frame, dai momenti diurni nei vialetti e nei supermercati al buio notturno della camera da letto.
A coronamento della meticolosità di sceneggiatura, direzione e fotografia, interviene l’interpretazione di Adam Driver, che dà un’eccellente dimostrazione della sua versatilità in qualità di attore. Molto interessanti anche le prestazioni di Greta Gerwig e di Lars Eidinger (che interpreta “l’uomo nero”).
White Noise esplora diversi dei temi ricorrenti del post-capitalismo: il consumismo sfrenato, la spettacolarizzazione mediatica delle catastrofi, l'intellettualismo spicciolo, le teorie del complotto, la paranoia, la disintegrazione e la reintegrazione della famiglia.
Adoperando una non-così-velata critica nei confronti dell’American Dream in pieno stile Eighties, il susseguirsi della serie di eventi incontrollabili messi in scena da Baumbach sottolinea con cinismo l’oggettività della condizione dell’uomo, precaria e destinata alla morte, e le soluzioni ridicole e insensate che mette in atto per seppellire più a fondo possibile la più umana delle paure.
Tuttavia, ciò che rende realmente disturbante il film è la sensazione che tutto ciò che viene trasposto sembra non essere riconducibile soltanto ad un atteggiamento sclerotico degli anni ’80: viene spontaneo infatti paragonare alcuni passaggi al dramma della pandemia da Covid-19, in particolare il terrore collettivo per la propria salute, l’impulsiva ricerca di riparo all’interno del nido famigliare e la percezione del supermercato come luogo più sicuro in assoluto e come principale occasione di ritrovo sociale o, addirittura, come palcoscenico di dibattiti e riflessioni. Oltre che, con l’escamotage della nube tossica, si allude anche alla questione ben più attuale della crisi ambientale, delle emissioni e della qualità dell’aria.
In definitiva, si può sicuramente riconoscere che White Noise sia un film ben fatto, complesso, non facile da digerire e ricco di tematiche sociologiche, di satira, di metafore storiche. Al di là dell’abilità oggettiva a livello di regia, scrittura e performance, nel film spicca però un eccesso di cinismo e di rassegnazione, che non riesce a lasciare spazio ad altro: alla fine avanza solo la perpetua sordità dei personaggi che, dopo aver scampato per un pelo l’apocalisse, se ne dimenticano da un giorno all’altro, ritornando alle loro bizzarre abitudini plastificate e al loro blaterale inutile, ben protetti dagli scaffali del supermercato (dove viene inscenato uno straniante flashmob ad epilogo del film).
Dopotutto, come afferma Jack Gladney, “La famiglia è la culla della disinformazione mondiale”.
Buona visione,
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