Regia: Dan Trachtenberg
Di Predator ce n’è uno solo, siamo tutti d’accordo. Nonostante svariati sequel (che non ho visto e non ho intenzione di vedere), il fascino del film del 1987 credo sia assolutamente ineguagliabile ed inarrivabile.
E allora giustamente vi starete chiedendo perché vi sto parlando di Prey, quinto capitolo della saga che in realtà vorrebbe un prequel, ambientato addirittura nel 1700. Beh, semplicemente perché non credevo che ne facesse parte, avendolo visto a scatola chiusa. In realtà credevo si trattasse di roba tipo leoni o altre belve simili, per cui lo stupore nel vedere il vecchio Predator all’opera è stato notevole.
Dal momento in cui compare quindi (abbastanza presto tra l’altro), tutto il giudizio sul film inevitabilmente cambia.
Brevemente la trama. All’interno di una tribù Comanche, la giovane Naru tenta in tutti i modi di mostrare le sue doti da cacciatrice, tra i dubbi dei maschi del villaggio, che invece la vorrebbero a casa a fare la calzetta. Quando una nuova minaccia arriva dal cielo, ecco che forse le sue doti potrebbero tornare utili.
L’ingrato compito di riportare in vita il Predator, con tutti i rischi del caso, tocca a sto giro a Dan Trachtenberg, giovane regista che prima di questo film aveva all’attivo solo il buon 10 Cloverfield Lane. Il suo lavoro, dal punto di vista tecnico, non si può considerare disprezzabile e si avvale di paesaggi davvero suggestivi e ambientazioni rese piuttosto bene, seppur in qualche occasione onestamente non mi pareva di essere stato catapultato ben più di 300 anni addietro.
Quasi tutta la pellicola ruota intorno alla protagonista, Naru, ben interpretata da Amber Midthunder, che fino ad oggi mai avevo sentito nominare (ed in effetti non mi pare possa vantare molte altre apparizioni di spicco). Oltre ad essere molto carina (che non guasta mai), bisogna riconoscere come si sia ben calata nella parte, a differenza del fratello, interpretato da Dakota Beavers, che appare piuttosto apatico e non molto coinvolto.
Ma l’MVP assoluto, e vorrei ben vedere, è ovviamente il Predator, il cui fascino è ben chiaro sin da quando si rende invisibile nelle prime battute. Anche in questo caso non appare troppo socievole, anzi diciamo pure che è incazzato nero, ma si rende anche leale quando decide di non attaccare chi non si mostra una minaccia. Graficamente risulta poi ben realizzato, anche se ovviamente è fatto tutto in CGI e si rende protagonista di alcuni uccisioni pregevoli e belle cattive, come per esempio la decapitazione con annesso taglio dell’albero.
Peccato che poi il film ci trituri i cosiddetti con un sacco di lungaggini riguardo le velleità di Naru e l’avversità che ripongono in lei i maschi della tribù, che se lo giochi per una scena ci può pure stare, ma che se lo riproponi per gran parte di film alla lunga stanca e risulta senza dubbio la parte meno interessante, insieme ad alcune forzature sulle quali si fatica a passare sopra. Perché va bene che sei brava e carina, però dai non puoi ammazzare tutti e scampare al Predator in ogni occasione, facendolo diventare un pippone solo quando si ritrova dinanzi a lei (oh magari era mezzo innamorato, chi può dirlo?). Persino il finale buonista a mio avviso non ci stava (ma da sto punto di vista sono un po’ esagerato), e anche in questo caso nega alla pellicola la possibilità di elevarsi rispetto ai film normali.
Per il resto infatti non c’è molto da segnalare, una storia semplice e lineare, basata unicamente sull’intrattenimento, con pochi pregi e pochi difetti, e che nel complesso risulta godibile, ma che non sarà mai indimenticabile.
Giudizio complessivo: 6.5
Enjoy,
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