Regia: Registi Vari
Il regista Guilliermo Del Toro, in stazza e cravatta, è il nostro anfitrione à là Alfred Hitchcock – manca solo il tiiiirittirri e un cadenzato “Buonasera” - a presentare questa serie Netflix, un catafalco di curiosità, otto episodi da cinquanta minuti/oretta cadauno.
La cosa bella delle introduzioni di Guillermone nostro è il mettere su un tavolino assieme all’”oggetto della paura” della puntata, una statuina raffigurante il regista. Sembra perché il nostro, quando guardava Ai Confini della Realtà, doveva aspettare i titoli di coda per sapere il regista. Invece qua, carte in tavola subito e vai di episodi.
Personalmente, ho trovato una vera curiosity il fatto che gli episodi migliori sono i dispari, ma è opinabile, eh!
A proposito di numeri, partiamo con Lotto 36, diretto da Guillermo Navarro, un fedele di Del Toro, che confeziona una storia cattivella su un uomo reduce, bianco e razzista che acquista alle aste dei garage abbandonati dai legittimi proprietari, per scadenza o morte o altro. Quando si aggiudica il 36, non sarà il suo numero fortunato perché il suo predecessore trafficava con demoni… Ben fatto, diretto e con la giusta dose di mistero e cattiveria. Del resto, Navarro e Del Toro essendo messicani nutrono la loro dose di disprezzo verso gli white americans oltre confine.
I confini da non superare sono quelli infestati da I Ratti del Cimitero (diretto da Vincenzo Natali), quello del secolo scorso, dove un tombarolo si vede soffiare i tesori sepolti assieme ai corpi dai topastri che rosicchiano nottetempo. Quando saprà di una tumulazione di un riccone, si troverà a strisciare nei cunicoli, tra schifo e orrore e creaturone roditrici. Schifiltoso a vangate (visto il tema), anche se quando ho fatto il recap non me lo ricordavo. Il classico numero due da scaletta.
Per restare allegri parliamo di obitori in L’Autopsia (David Prior), dove l’ottimo F. Murray Abraham è un coroner con un cancro agli sgoccioli, incaricato di eseguire le autopsie di diversi minatori morti in modo poco chiaro; uno di loro ha fatto esplodere un ordigno non identificato nella miniera. L’ambientazione, l’attore e il resto ci mettono già un buon 50% di riuscita.
Ottimo livello per il quarto episodio (vi avevo detto che era opinabile) L’Apparenza, di Ana Lily Amirpour, proprio quella di A Girl Walks Home Alone at Night. Stacey è il brutto anatroccolo, ma diciamo cessetta sfigata in un ambiente di bellone al limite del botox. Quando queste le regalano la costosa crema Alo Glow, se ne scoprirà allergica, ma dopo la delusione vale il motto: “per essere belle bisogna soffrire”. Forse il migliore, anche se numero pari. Molto femminile nel tocco e nelle psicologie, in pratica una (Desperate) Stepford Houswife rifatta (è proprio il caso di dirlo) da un Clive Barker o da un King molto ispirato.
Quinto e sesto prendono ispirazione da Lovecraft in Il Modello di Pickman e I Sogni nella Casa Stregata. Il primo è buono per la serie dei Masters of Horror, il secondo pure, avendo un convincente Ron Weasley, un dark finto Burton che non mi è dispiaciuto, forse perché non bazzico tanto il solitario di Providence.
La Visita è un trip acido a cura di Panos Comatos, già regista di Mandy. Molto curato e ricercato, lisergico all’inverosimile ma…sembra solo la prima metà della storia. Il resto mancia (e immaginazione).
Il Brusio di Jennifer Kent, ma tratto da un racconto del Gulliermone, è una chiusura poetica. Una coppia di ornitologi con trauma addietro vanno a studiare il brusio degli uccelli in una casa remota e infestata. Morale: il dolore è una cosa con le piume, per citare il titolo dell’omonimo romanzo. Freddo e malinconico come certi pomeriggi d’ottobre. Promosso, anche se numero pari.
A chiudere: una serie antologica eterogenea, che oscilla tra episodi più riusciti e altri meno, ma che nell’insieme si fa apprezzare, a patto di vederli a gruppi di due.
Per questa sera è tutto e vi auguro buona visione dal vostro (metto la statuina)…
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