Regia: Tom McLoughlin
Stephen King è un jolly, non lo si nega a nessun regista. Certo, non è facile adattare sullo schermo certe pagine Kinghiane, c’è il rischio di creare del piattume (signor Garris? Parlo con lei, lo so che piace tanto a King perché non cambia una virgola, ma insomma…), perché lo Zio Steve impregna le pagine di una magia difficile da trasporre. E poi è bastardo dentro: il suo genio creativo non lascia niente all’immaginazione, al non detto. Ti dà tutto sul foglio, compresa l’illusione di poterla facilmente vedere in un film.
Certi Big lo hanno giocato bene, tipo De Palma, Hooper, Lambert, Darabont, Reiner, altri hanno fatto la marchetta (Carpenter), e c’è chi ha fatto saltare il banco e gelare lo Zio Steve – qualcuno ha detto Shining e Kubrick? – e chi ha preso la tranvata in faccia (Romero, poverino). Poi però c’è stato un momento tra la metà degli anni Ottanta e i primi Novanta in cui bastava prendere i diritti di qualsiasi cosa avesse scritto lo Zio per farci qualche soldino e creare un limbo di film “Based on a novel of Stephen King”. Chi lo ha capito subito e ha tirato fuori il portafoglio da Re Mida è stato il produttore Dino De Laurentiis che si è accaparrato un po’ di storie dello Zio, anche se ahimè non sono diventate tutte d’oro.
A Volte Ritornano è un racconto breve tratto dall’antologia omonima e narra dell’insegnante Jim Norman, che torna ad insegnare nella città natale, dove ha subito un trauma da fanciullo (sennò che King sarebbe?): tre teppisti gli hanno ucciso il fratello Wayne e poi sono morti in un incidente. Il problema è che nella nuova classe arriveranno uno dopo l’altro i tre Fonzie redivivi a regolare i conti col prof. E non certo per un quattro sul registro…
Il racconto è asciutto, con un finale cupo ma riuscito. Il film invece si prende il suo tempo per raccontare il trauma di Jim e le apparizioni dei diabolici Fonzie con tanto di giubbotto e ciuffo brillantino, e dando un bello spazio alla teppa sopravvissuta all’incidente, tale Muller – il Candeggina che nel racconto veniva liquidato come un “peso morto” in una riga di dialogo. Ecco, forse il problema del film sta proprio nell’allungare il brodo. Non che duri tantissimo, ma avrebbe funzionato meglio in un’antologia come L’Occhio del Gatto, sempre del Dino. Una sforbiciata di mezz’ora, - magari proprio al personaggio di Muller -, e l’aggiunta di un altro racconto sempre dalla stessa raccolta, che so, La Falciatrice o ancora meglio L’Ultimo Piolo, e avremmo un gioiellino sulla corona del Re.
Tim Matheson col capello lunghetto e unticcio funziona bene come professore traumatizzato che deve fronteggiare il male. Delle teppe recitano bene i primi due attori, specie il biondino Vinnie (alias Nicholas Sadler, che vedremo anche in Scent of a Woman, sempre nei panni di uno studente stronzetto), anche se la loro idea di minaccia è scoccare occhiatacce per mezzo film e far scattare la lama del serramanico. Gli effetti speciali sono poca cosa, tanto la locomotiva del treno, quanto l’angioletto del bene Wayne nel finale. Il regista è uno sa maneggiare il genere e non annoia. Rivisto ad oggi, non è invecchiato male, piuttosto è annacquato.
A volte riescono…A volte nì.
Consigliato ai tombaroli del Re.
Curiosità: Abbiamo anche due sequel piuttosto inutili: A Volte Ritornano…Ancora e Stazione Erebus che ha una sola garanzia: beccarsi una denuncia dagli avvocati dello Zio, visto che non solo non c’entra nulla, ma millanta pure il nome di King! A volte ci provano, altroché!
Buona visione.
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