Regia: Paul Morrisey
“Dracula? Ha detto così? Dracula...Ha un suono così singolare. Tre sillabe, eh? Dra-cu-la. Ha un che di accattivante questo nome. Io non ho incontrato nome più perfetto negli annali della nobiltà. Vostro padre, figlie mie, riconosce la sostanza dalla forma: la polpa del frutto dalla buccia che lo riveste. Ci sono gli assaggiatori di vino e gli assaggiatori di nomi. Sì, "Dracula", una felice combinazione di oriente e di occidente, di realtà e di fantasia”.
Eccoci al gemello più riuscito del dittico di Morrissey: Dracula secondo Warhol.
Già dal titolo demenziale si riassume la trama: il povero conte (sempre Kier) fa la sete in Romania per carenza di vergini – come dire che l’Est è un bordello naturale – per cui pensa di emigrare in Italia dove impera il cattolicesimo a salvaguardia di imeni e di fanciulle.
Col pretesto di cercar moglie, mette gli occhi (e i denti) sulle figlie del nobile decaduto Di Fiore (Vittorio De Sica, proprio lui!) che ha tutto l’interesse ad accasarle per rimpinguare le proprie casse: Rubinia, Saphiria, Perla ed Esmeralda. Peccato che tre dei gioielli di famiglia se la spassino alla grande con Mario (Joe Dallesandro, the body) lo stallone, pardon stalliere comunista, d’altronde lui è per la divisione della proprietà. Resta illibata solo l’ultimogenita Esmeralda, interpretata da Milena Vukotic (la seconda Pina di Fantozzi)... Arriveranno prima i canini o falce e martello?
Dei due film girati in Italia dal clan Warhol questo è – secondo me – il migliore. D’accordo, ho più simpatia per Dracula, ma anche la stessa trama è più riuscita e meno improvvisata, tutta giocata su situazioni così grottesche da risultare surreali e divertenti: tipo il vampiro che vomita se beve sangue impuro oppure quando si pappa il pane pucciato nel sangue di una vergine con lo stesso entusiasmo con cui noi facciamo la scarpetta nel piatto dell’amatriciana o qualsiasi intingolo, dopotutto la scarpetta fa sincero (e appetito).
Udo Kier ci presenta un vampiro lunare, fragile e debole, un vero sangue blu. Già dall’inizio lo vediamo intento a tingersi i capelli canuti e truccarsi davanti allo specchio e poi scopriamo che…non si riflette. A posteriori mi chiedo se non fosse un’allusione a Warhol stesso: i capelli bianchi e il nomignolo che Andy si era attribuito era Drella, medley tra Dracula e Cinderella e che sarà anche il titolo dell’album tributo che Lou Reed e Johnny Cale incideranno in sua memoria. Fine digressione, torniamo al film:
Anche il cast è persino più interessante del gemello: Udo Kier e Arno Juerging riprendono i ruoli di padrone/servo come nel Frankenstein anche se qui chi tiene le redini è il secondo, che tiene a bada il conte, visto che il vampiro è tutto un dolore, tremori e si muove in sedia a rotelle quando digiuna da troppo. “The Body” Dallesandro ha il suo daffare a trombarsi le figlie del marchese che mostrano la loro bella parure di corpi at top: Stefania Casini, Silvia Dionisio e Dominique Darel, vedere per credere, se il comunismo è questa divisione della ricchezza, vien voglia di prendere la tessera!
Vittorio De Sica saluta il cinema con questo film, nel ruolo del gentiluomo di campagna che si muove tra il sofisticato e il rincoglionito, quel mezzo tono tra l’attore e l’uomo reale: il suo monologo “da sommelier” sul nome Dracula, strappa uno sghignazzo e non puoi non pensare al talento che aveva e che in parte ha trasmesso ai figli. Dulcis in fundo, c’è un cameo di Roman Polanski nei panni di un contadino in un’altra scenetta surreale. I trucchi e le litrate di sangue sono sempre opera di Rambaldi, questa volta a gusto ancora più fumettistico.
Nuova linfa per Dracula, la trasfusione col gruppo sanguigno Wharol ha funzionato più del trapianto di organi. Si vede che a furia di provare, i mezzi e le idee si affinano.
Chi cerca un Dracula pop e vintage, può servirsi: c’è ancora un po’di rosso nel piatto. Extra vergine.
Curiosità: il film è uscito anche col titolo: Dracula vuole vivere! Cerca Sangue di Vergine.
Buona visione,
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