Regia: Joko Anwar
Dopo la felice esperienza di The Queen of Black Magic, ho voluto dar fiducia alla Rapi Films recuperando anche Satan’s Slaves, film del 2017 scritto e diretto da Joko Anwar, che già era stato autore della sceneggiatura del sopracitato film diretto da Kimo Stamboel.
Per la serie, qui in Indonesia facciamo tutto in famiglia e vabbene così.
In realtà il Satan’s Slaves del 2017 sarebbe un remake dell’omonimo film del 1980, che ovviamente non ho visto e della cui disponibilità dubito fortemente, per cui accontentiamoci di questo e valutiamolo come se fosse un prodotto originale, vista l’impossibilità di fare confronti.
Brevemente la trama. Una famiglia in Indonesia si trova costretta a combattere contro la povertà e la malattia che affligge la madre dei 4 figli. Dopo la sua morte però la famiglia comincerà ad essere terrorizzata da continue apparizioni e fatti inspiegabili che metteranno in pericolo un po’ tutti.
Che Joko Anwar abbia del potenziale diciamo che ormai è consolidato, visto anche il successivo Impetigore di cui firma la regia. Le ambientazioni degli interni ricordano molto quelle di Queen of Black Magic, mentre la scelta di spingere su leggende e credenze locali sembra ormai essere diventato un marchio di fabbrica di tutto ciò che ruota intorno alla Rapi Films.
In mezzo a tutto questo ecco la figura della madre malata, il vero valore aggiunto della pellicola. Una figura a dir poco inquietante che costringe chi non è esattamente un cuor di leone a coprirsi il volto ogni qual volta che fa la sua comparsa sullo schermo. E le comparse non sono proprio poche, così per gradire. Quel dannatissimo campanello che suona ci accompagnerà poi per quasi tutta la visione e riuscirà a generare ancora quel pizzico di ansietta in più che di certo non guasta.
Il fenomeno del jumpscarismo non è di certo limitato, anzi in alcuni momenti si rischia quasi di sfiorare l’abuso, ma la buona realizzazione e il fatto che comunque in questo genere di lavori se ne senta proprio il bisogno, non condannano una scelta che quindi nel complesso si rivela vincente. Tra l’altro si inizia sin da subito con il botto e, già con l’ottima comparsa dei titoli di testa, si capisce di che pasta sia fatto il film.
La cura dei dettagli è un altro punto di forza e obbliga lo spettatore a prestare grande attenzione a tutto ciò che circola sullo schermo. Troviamo infatti sparse qui e là lievissime apparizioni, ombre che si muovono furtivamente all’interno degli specchi e tutta una serie di situazioni distaccate dall’inquadratura principale che non sono immediate da cogliere e che necessitano in più di un’occasione di un replay (sempre che almeno uno dei compagni di visione si accorga di qualcosa).
L’incedere della storia non è rapidissimo, questo bisogna dirlo, anzi possiamo pure affermare che è lento senza che nessuno possa fare ricorso al TAR del Lazio. Ma non è una lentezza troppo fastidiosa, e se lo dico pure io che di solito non gradisco, vuol dire che in fin dei conti la faccenda non disturba più di tanto. Certo è che alla fine l’ora e 45 è sembrata essere quasi il doppio, ma forse è colpa dei continui rewind dovuti ai particolari di cui accennavo prima, oppure alle troppe birre ingerite prima della visione.
I personaggi nel complesso li ho trovati leggermente troppo abbottonati, senza nessuna prestazione degna di nota, tranne che per il piccolo di casa, davvero un gran personaggio che merita di certo una menzione. Ciò che però ha forse un po’ penalizzato il tutto, è stata una leggera confusione nel mettere in piedi una parte finale dove le questioni da far tornare erano molte, e la realizzazione non sempre era limpida, anche se la presenza di sottotitoli solo in lingua inglese, per altro in un momento in cui i dialoghi si infittivano e scorrevano via veloci, potrebbe aver in parte compromesso la comprensione di alcuni passaggi.
Detto ciò, ritengo che gli appassionati di horror orientali dovrebbero apprezzare senza problemi.
Giudizio complessivo: 7
Enjoy,
Nessun commento:
Posta un commento