Regia: Curtis Harrington
Ogni tanto catapultarsi fuori da quella che è la propria confort zone cinematografica (seppur con moderazione), non può che far bene, consentendo di scoprire vecchie chicche che magari sarebbero rimaste sconosciute.
È quello che è accaduto con Chi Giace nella Culla della Zia Ruth?, favola nera gotica del 1971 diretta da quel Curtis Harrington che, a dire il vero, al di là del film di cui andiamo parlando, non è che abbia sfornato grandissimi lavori, almeno per quanto io possa ricordare. Ma in questo caso ha fatto indubbiamente centro.
La Zia Ruth del titolo (che poi in realtà nel titolo originale si chiama Rosie Forrest, detta amichevolmente Roo, ma vabbè lasciamo stare) è una ricca vedova, la cui figlia è deceduta a seguito di un banale incidente casalingo. Purtroppo il trauma non sarà così difficile da superare per la donna, che tenterà di mantenere vivo il ricordo della figlioletta con tutti i mezzi possibili e non sempre così leciti.
Il riferimento alla favola di Hänsel e Gretel (con la strega cattiva mangia bambini) è senza dubbio il più evidente all’interno della pellicola, in particolare dal momento in cui mette piede in casa della Zia quell’esercito di mocciosi desiderosi di partecipare al party natalizio. Se quindi la famosa favola firmata dai Fratelli Grimm può considerarsi una chiara fonte di ispirazione, è anche doveroso ricordare come le tematiche qui affrontate siano poi state riprese anche in seguito in svariati film più o meno famosi. Tra tutti, in particolare, mi viene in mente l’episodio cornice de I Delitti del Gatto Nero, non solo per i temi trattati, ma soprattutto per la manifestazione della innocente malvagità dei bambini, utile sì per salvare la pellaccia, ma anche rischiosa nel interpretare le situazioni nella maniera non esattamente corretta.
E proprio i bambini quindi sono i grandi protagonisti della vicenda, con la loro straordinaria immaginazione che spesso li fa deviare da quella che è la realtà, pur sempre mantenendo quella loro malvagità interna che continua a farmi rimandare senza troppo rimorso il desiderio di espandere i miei geni. La raffigurazione di come viene resa l’interpretazione della faccenda dal loro punto di vista risulta assolutamente vincente ed è senza dubbio un valore aggiunto della pellicola.
A far loro compagnia troviamo poi la fantastica Shelley Winters, perfettamente a suo agio nel ruolo ritagliatole per l’occasione, e per la quale non c’è bisogno di troppe presentazioni. Da Un Borghese Piccolo Piccolo a Lolita, la sua filmografia vanta titoli di livello eccezionale e la sua prestazione basta a tenere in piedi l’intera pellicola. Molto significativo risulta in particolare il legame che mantiene con la figlia defunta, che in più di un’occasione riesce a farti provare un’enorme tenerezza, nonostante poi pure lei non è che mostri comportamenti sempre eticamente impeccabili.
L’ambientazione e le atmosfere sono senza dubbio ben riuscite e ad esse si uniscono alcune scene davvero pregevoli (in particolare ne ricordo una con protagonista ciò che resta della bambina), inframmezzate da altre più banalotte e grottesche (vedasi su tutte l’agguato dei bambini con tanto di lancio del temibile orsacchiotto che stende la Zia).
Nel complesso comunque il film risulta invecchiato più che dignitosamente e si lascia ben guardare, anche in virtù di quel finale amaro che chiude perfettamente il cerchio.
Buona visione,
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