Regia: Nicolas Roeg
A Venezia un Dicembre Rosso Shocking, traduzione in puro stile made in Italy (lascio a voi decidere se valida oppure no) di Don’t Look Now, classicone purtroppo poco menzionato, ma che vale la pena riscoprire e tramandare a chi ancora non ne ha goduto.
Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Daphne Du Maurier, che però non ho letto e di cui non avevo mai sentito parlare prima della prima visione (lacuna tra l’altro mai colmata nel tempo), per cui valuterò unicamente ciò che ho visto (e rivisto recentemente).
Brevemente la trama. John e Laura Baxter hanno una figlia che un giorno muore annegata in uno stagno. In seguito a questa tragica vicenda, i coniugi si trasferiscono a Venezia, dove la donna comincia a fare amicizia con 2 sorelle, una delle quali, cieca, afferma di poter contattare la figlia defunta. Parallelamente cominciano a verificarsi diversi omicidi e nessuno sarà più al sicuro.
Nicolas Roeg, regista di cui non conosco nulla al di fuori di questa pellicola, dirige qui il suo film più famoso e lo fa con una tecnica davvero particolare ed intrigante, utilizzando quella sovrapposizione di immagini che ti consente di spaziare tra una scena e l’altra con nonchalance e stupore. La sequenza del recupero della bambina dallo stagno, in particolare, è una di quelle che ti ricordi per un bel pezzo, davvero pregevole e di grande effetto.
L’atmosfera malsana ed inquietante che si respira per tutta la durata del film, trova il suo compimento in colori piuttosto spenti, ravvivati unicamente dal colore rosso dell’impermeabile della bambina, in totale contrasto con tutto l’ambiente circostante. A fare da contorno poi, ecco la splendida Venezia, che offre uno scenario magnifico, seppur non venga esaltato dai luoghi più celebri che l’hanno resa famosa (piccioni a parte, che quelli ci sono sempre, a prescindere). Viene infatti privilegiata la parte più oscura e cupa della città, quella dei canali più stretti e poco frequentati, dove i misteriosi omicidi iniziano a condurre lo spettatore lungo un mix di incubo e realtà da cui non è facile uscire.
Un giovane Donald Sutherland (che non ricordo di aver mai visto durante le sue prime apparizioni in carriera) si prende molto bene la scena, accompagnato dalla sensuale Julie Christie, indimenticabile quando tira fuori quella linguetta allo specchio e molto abile nell’interpretare il difficile ruolo della madre che non riesce ad accettare ed elaborare il lutto per la perdita della figlia. Perché di fatto, il tema centrale di tutta la faccenda è questo.
La storia tuttavia si mantiene interessante, nonostante un po’ di inevitabile lentezza in alcuni punti. Una lentezza che però non rende meno intrigante la pellicola, grazie al fascino che la contraddistingue e alle musiche di Pino Donaggio che ben si adattano alle varie scene per le quali sono state create.
Qualche piccolo difettuccio veniale lo si trova, è chiaro, però mi sento assolutamente di consigliarne la visione a chi ancora non ne ha avuta la possibilità, anche in virtù di quel finale eccezionale, che per un po’ non lo si scorda.
Una piccola perla da riscoprire, che indubbiamente ha influenzato molti dei lavori futuri del genere.
Buona visione,
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