Regia: Sergio Martino
“Titolo chilometrico per un thriller esile e contorto.”
Potremmo liquidarlo anche così, e avanti il prossimo, ma qualche parolina su questo thriller di Sergio Martino possiamo – e vogliamo – spenderla, alla pari dei cercatori d’oro che setacciano le rive del fiume alla ricerca di pagliuzze.
Provincia Veneta, anni ’70. Oliviero Rouvigny, scrittore in secca creativa, ma florido di alcool e viziacci vari, vive nella villa di famiglia col gatto Satana, il ricordo sacrosanto e indelebile di Mammà sua e la debole moglie Irene che maltratta e bistratta anche pubblicamente. Ah, all’occasione la cornifica pure. Il ménage viene scosso dall’omicidio dell’amante di Oliviero che viene sospettato dalla polizia, ma paraculato dalla moglie con alibi. Quando poi tocca alla domestica di colore, Oliviero, per allontanare i sospetti da lui, mura il cadavere in cantina. E siccome non ci si annoia mai, alla villa arriva Floriana (Edwige Fenech), nipote di Oliviero, che diventa l’amante di entrambi e assiste alle fratture di coppia fra i due…
Sergio Martino prende il soggetto de Il Gatto Nero di Poe e lo appiccica sul finale (il micio Satana avrà questo ruolo di deus ex machina, o forse di micio-guffin). Per il resto racconta un thriller morbosetto e pruriginoso, fatto di corna e intrallazzi, sullo sfondo di un Veneto che ricorda quello double face de Il Commissario Pepe (1969), ma con altri risultati.
La cifra del regista sui canoni del thriller alla Dario Argento rimane più voyeuristica, ma il nostro ha shakerato meglio gli ingredienti l’anno prima in Lo Strano Vizio Della Signora Wardth e in Tutti i Colori del Buio. Che poi il regista mette in codesto tris (di corna e di films) un Asso di Donna: Edwige Fenech, all’epoca anche sua compagna e verso il top della sua…gioventù (e topaggine, va bene, anche se va detto sulla Edwige il sole non tramonta mai e si conserva ancora oggi molto dignitosamente).
Quindi il nudo non manca (e non dispiace), compresa una sequenza saffo tra zia e nipote, ma la Edwige nostrana fa anche una parte piuttosto sgradevole e spregiudicata. Cinema come se ne faceva in quegli anni, senza tanti complimenti e soprattutto senza mezzi termini, in barba a tutti i politically correct, che oggi sarebbe impensabile trovare, tipo battute sulle “negre” con tono così colonialista e sessista.
Da notare che la scena in cui Irene trova la macchina da scrivere con la frase delirante “Uccidere e murare in cantina” ripetuta su tutte le pagine, anticipa di qualche anno un film molto più conosciuto… C’è bisogno di dire quale? (Se ci pensate per più di un minuto, finirete murati vivi, in un vero tributo a Poe).
Le pagliuzze sono finite, andate in pace, chiudo io. Ho le chiavi.
Buona visione,
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