Regia: Augusto Caminito
Questo è uno di quei casi in cui la storia produttiva è più interessante del film in sé. Anzi, potrebbero farcene uno sopra, tipo The Disater Artist (2017).
Per una volta vi racconto subito la trama: il professor Paris Catalano (Christopher Plummer, niente meno) esperto di vampiri, viene chiamato a Venezia dalla nobildonna Elietta Canins (Barbara de Rossi, sempre impellicciata) per indagare sulla fine di Nosferatu (Klaus Kinski, conciato come Lino Toffolo) che durante la peste e il carnevale del 1786 le ha vampirizzato l’ava Letizia prima di sparire nel nulla.
La donna è convinta che il vampiro sia nella cripta di famiglia, ma Paris è scettico. Per conoscere la sorte di Nosferatu fanno una seduta spiritica, che lo riporta in vita (si fa per dire); il vampiro vaga stanco e inattaccabile fra le calli e il carnevale veneziano alla ricerca di una vergine che ponga fine al suo tormento.
Sulla carta l’idea è suggestiva e ha tutti i numeri per farcela: Venezia sfondo perfetto per una storia di morte e decandenza, il cast di rilievo …e qui comincia l’altro film: The Disaster Nosferatu.
Flashback, 1986: Augusto Caminito, produttore di ottimi incassi commerciali del tipo In Viaggio Con Papà, decide di realizzare il seguito del Nosferatu, Principe Della Notte (1979) di Herzog. Assolda anche l’interprete principale, Klaus Kinski, e si prepara a sfornare il prossimo successo. Lo aspetta un crack degno della Parmalat.
Il primo regista, Maurizio Lucidi viene liquidato subito, perché ritenuto di poco appeal per il prodotto. Viene allora chiamato Pasquale Squitieri, che riscrive il copione, ingaggia fumettisti del calibro di Magnus per realizzare le storyboard del film; insomma spende e spande e il budget sale. Liquidato anche lui. Tocca quindi a Mario Caiano contenere le spese, e che ha già lavorato con Kinski, ma lui e l’attore litigano di brutto. Storie di insulti e di specchietti lancianti in faccia.
Le mattane del Klaus Kinski sono storie note: non è un soggetto facile. E’ collerico, umbratile, arrogante. Per lavorare bene gli servono registi domatori dalla mano ferma, tipo Werner Herzog e il suo fucile: un film in preda ai suoi capricci da primadonna equivale all’anarchia.
In più, Kinski rifiuta di rasarsi i capelli come nel Nosferatu precedente e sul set fa il minimo sindacale: guarda in camera col suo sguardo sbilenco e traumatizza le attrici con molestie sessuali (durante una ripresa in primo piano in cui deve mordere sul collo Barbara De Rossi, non visto, le infila un dito proprio laggiù, tanto che l’attrice scapperà nella sua roulotte a piangere), azioni che portano l’intera troupe a scioperare per il comportamento dell’attore.
Anche Caiano viene defenestrato, perché Kinski vuole che sia proprio Caminito a dirigerlo. Il budget ormai assomiglia a un PIL del Terzo Mondo e Reteitalia, che sta aspettando il film da due anni chiude i rubinetti. Allora Caminito si fa aiutare dal regista Luigi Cozzi, salva il salvabile e anche se mancano la metà delle riprese previste, monta il film e lo consegna così com’è. Non sarà un cult, ma un disaster.
Anche senza sapere tutte le tribolazioni, guardando il film in modo distratto si sente che manca qualcosa. C’è l’atmosfera mefitica e lagunare, ma ti lascia un senso di irrisolto e sfuggente che ti fa dire: “E quindi?” Kinski è svogliato e si vede: passeggia con aria da rockstar sfatta fra le calli, probabilmente pensando al delirante monumento a se stesso che Caminito gli ha promesso di produrre dove lui sarà attore, regista e molestatore: Paganini (1989). Ecco, questo Nosferatu a Venezia è proprio come il celebre musicista: non ripete.
Al netto dei difetti, credo che il fallimento del film sia dovuto anche ad un genere ormai al tramonto in quegli anni, sorpassato dalle televisioni e dai nuovi gusti del pubblico. Ironico, visto che i vampiri sorgono proprio al calar del sole…
Curiosità: Deborah Caprioglio, allora fidanzata con Kinski fa una comparsa non accreditata.
“Buona” visione,
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