Gruppo: Fu Manchu
Sentendo nominare il termine Fu Manchu, la maggior parte delle persone sarebbe tentata di pensare al personaggio di finzione apparso inizialmente nella serie di romanzi scritti dal britannico Sax Rohmer. Ma per gli appassionati del genere musicale stoner-rock, Fu Manchu è semplicemente sinonimo di grandissima band.
Kings Of The Road (anno 2000) è il sesto album in studio del gruppo nato alla fine degli anni ’80 in California, luogo a dir poco fondamentale per la crescita del genere stoner-rock. Un genere che vede, tra i più acclamati interpreti, gruppi provenienti proprio da questa regione, a partire dai Kyuss (sicuramente tra i più rappresentativi), per poi proseguire con tutti coloro che annoverano tra i propri componenti quei musicisti che sovente usavano incontrarsi allo studio di registrazione Rancho de la Luna, dando in seguito origine alle pregevoli Desert Sessions (che consiglio di recuperare).
L’Album è composto da 11 tracce, registrate con la seguente formazione: Scott Hill (voce, chitarra), Brant Bjork (batteria), Bob Balch (chitarra) e Brad Davis (basso).
1. Hell on Wheels
2. Over the Edge
3. Boogie Van
4. King of the Road
5. No Dice
6. Blue Tile Fever
7. Grasschopper
8. Weird Beard
9. Drive
10. Hotdoggin'
11. Freedom of Choice
Tra i temi maggiormente cari ai Fu Manchu, c’è sicuramente quello relativo a tutto ciò che può correre su strada a velocità non esattamente ridotte, e in quest’album lo vediamo chiaro e tondo già a partire dai titoli. Hell on Wheels, Boogie Van, King of the Road, Grasschopper (memorabile la rullata iniziale) e Drive ne sono gli esempi più evidenti, insieme alla copertina, con quell’orda di van messi in fila uno dietro l’altro e pronti a ruggire on the road.
La voglia di correre viene sapientemente trasmessa anche all’interno dei brani stessi. Un ritmo veloce, spesso caratterizzato da lunghi monoaccordi ripetuti insistentemente (cosa che mi fa letteralmente impazzire) e da un Brant Bjork che non si tira certo indietro quando la presenza dietro le pelli necessita di farsi ingombrante e rumorosa.
Hell on Wheels e King of the Roads sono senz’altro le mie due preferite. La prima presenta un inizio indimenticabile, perfetto per dare lo start a tutto l’album (e a molti dei loro concerti, che infatti partivano proprio con questo pezzo), con quel riff in crescendo e la rullatona di Bjork a dar vita ad una cavalcata che ti spinge ad agitarti ovunque tu sia. La seconda offre invece il meglio sul finale con quel “King of the road says you move too slow!”,ripetuto più volte, che non ammette rallentamenti e che si lascia urlare a squarciagola come se non ci fosse un domani.
In mezzo troviamo qualche lieve pausa di ritmo, perché anche i bolidi ogni tanto devono riprendere fiato, con l’interlocutoria No Dice (forse l’unico brano che non mi ha mai convinto del tutto), l’eccezionale Weird Beard, quasi a sottolineare che le guance rasate non sono proprio le benvenute (anche se in realtà Scott Hill lo ricordo praticamente sempre sbarbato) e la quasi psichedelica Boooogieeee Van.
A concludere l’album poi, ecco la cover che non ti aspetti, quella Freedom of Choice dei Devo (pezzo originariamente non indimenticabile) che verrà coverizzata in seguito anche dagli A Perfect Circle, con una versione totalmente diversa dai Fu Manchu (rispettando chiaramente lo stile delle band), ma altrettanto efficace, anzi forse lievemente preferibile a mio avviso.
Se siete quindi amanti della musica, ma di quella vera e bella grezza, distorta e potente, di quel rock brutto sporco e cattivo di cui oggi si è persa traccia, non potete non ascoltarvi King of the Road, album adatto a qualsiasi occasione (o quasi). Consiglio infatti, se ci tenete alla patente, di non sentirvelo in auto, perché qui l’acceleratore va che è un piacere e a me è costato ben 5 punti.
Enjoy,
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