Regia: Martin Scorsese
Una scrittrice disincantata, una cinica umorista, un’opinionista loquace e provocatrice: così si presenta al pubblico Fran Lebowitz, classe ’50, protagonista della nuova docu-serie diretta da uno dei grandi maestri del cinema, Martin Scorsese.
Il vorticoso rapporto tra la caustica scrittrice e la Grande Mela è al centro di questi sette episodi dal ritmo incalzante, dove la protagonista attraversa la città ormai perduta, dimenticata, ricordando quello che un tempo è stata: una città da cui vorresti scappare ma dalla quale non puoi e non vuoi liberarti realmente.
Così si trasforma New York e, conseguentemente, il mondo intero, filtrato dallo sguardo di una donna eclettica e pungente, dalla personalità controversa, il cui giudizio inarrestabile ed arguto riesce a capovolgere il nostro sguardo sulla realtà, decontaminando ogni argomento dal politicamente corretto; perché Fran Lebowitz è volutamente scorretta, un’intellettuale piena di coraggio fuori dagli schemi, abbattuti dalla scrittrice stessa.
Intervistata dallo stesso Martin Scorsese e da personaggi dal calibro di Spike Lee, Alan Baldwin e Olivia Wilde, la macchina resta fissa su di lei, facendo scomparire tutto ciò che la circonda.
E’ così che inizia il viaggio di Fran attraverso i temi più divergenti: dal denaro al funzionamento dei trasporti pubblici a New York, dallo sport al benessere (da lei odiati), dall’uso della tecnologia e dalla nascita del talento, di quella volta in cui Leonardo Di Caprio le offrì una sigaretta elettronica per arrivare, infine, ai piaceri proibiti e all’amore per la lettura.
Il punto di forza di questa docu-serie è la stessa filosofia della Lebowitz, capace di dissacrare qualsiasi argomento, dal più banale al più complesso, con la sua personale visione del mondo: è impossibile, per lo spettatore, non venire travolto dalla sua grande dote oratoria.
"Un libro non dovrebbe essere uno specchio, ma dev’essere una porta" è con queste sue parole che possiamo racchiudere la filosofia lebowitziana: la scrittrice non ricerca l’immedesimazione in un’opera, così come non cerca di adattarsi ad una New York diversa da quella degli anni ’70.
Se il suo monologo si configura, alla fine, come una lettera d’amore alla città di New York, con le sue contraddizioni e le sue incertezze, Pretend it’s a city è, invece, una lettera d’amore firmata Martin Scorsese a questa straordinaria artista.
Buona visione,
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