Regia: Anthony M. Dawson (Antonio Margheriti)
“Voi confondete la tomba con la morte, amico mio”
Il giornalista Alan Foster intervista Edgar Allan Poe durante una serata all’osteria. Lo scrittore afferma che le sue storie non siano fantasie, ma cronache di fatti veri e allo scettico Foster propone una scommessa: passare la notte in un maniero disabitato dal quale nessuno è tornato. Questi accetta e, giunto a destinazione, scoprirà di non essere solo. Conoscerà la bellissima castellana Elizabeth e il suo morboso parentado, nonché degli ospiti che lo hanno preceduto: sono tutti fantasmi, condannati a rivivere le loro sventure in quella notte dell’anno. E hanno fame d’amore e di sangue.
Corre l’anno 1964 e il Gotico Italiano è al suo zenith. E’ nato qualche anno prima ad imitazione del successo di Dracula Il Vampiro (1958), ma subito diventa una costola autonoma. Infatti, a parte mutuare ambientazioni a base di cripte e castelli, ci mette qualche ingrediente nostrano: il senso del peccato, il gusto della colpa e dell’espiazione e qualche dettaglio pruriginoso per le copie distribuite all’estero. E poi l’asso nella manica, anzi la Regina: Barbara Steele, corvina e dai lineamenti appena marcati lanciata da Mario Bava in La Maschera del Demonio (1960), che diventa subito diva e presenza fissa di molte pellicole del genere, specie nel doppio ruolo di santa & strega.
Danza Macabra è forse l’apice; una storia di fantasmi torbida ed elegante, grazie anche al bianco e nero che dà al tempo e alle vicende dei personaggi lo scorrere di un carillon, un rondò ineluttabile che…postuma necat.
Il finale è tanto nero quando rosa, una goccia di dolce nell’amaro calice del Gotico.
Margheriti costruisce una tensione basata sull’attesa grazie all’ottimo incastro che la sceneggiatura offre. Subito il film era stato pensato per Sergio Corbucci, ma il nostro regista si era innamorato del soggetto. Cosa che spero farete anche voi, quando lo guarderete.
Curiosità: nel 1971 Margheriti stesso ne dirige un remake pedissequo, Nella Stretta Morsa Del Ragno, a colori. Abbastanza inutile se si è visto questo. Altrimenti un’occhiata gliela si può dare, giusto per vedere Klaus Kinski nei panni allucinati (in tutti i sensi) di Edgar Allan Poe.
Buona visione,
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