Regia: Yorgos Lanthimos
RECENSIONE
Ecco, quando manifestate insoddisfazione familiare, credendo di avere dei genitori problematici, fatemi un piacere, andatevi a guardare Kynodontas e poi fatemi sapere se la vedete sempre allo stesso modo.
In effetti avevo già citato questo film nella recensione di Miss Violence, che indubbiamente prende notevole spunto da Dogtooth (se preferite chiamarlo con il titolo internazionale), risultando addirittura più tosto da digerire, ma indubbiamente il sito aveva bisogno anche di un approfondimento di questo incredibile lavoro di Yorgos Lanthimos.
E non c’è momento migliore di questo per farlo, visto il suo recente passaggio nei nostri cinema con ben 11 anni di ritardo, dal momento che la sua uscita risale al 2009. Purtroppo però, il doverne parlare implica una seconda visione e, tra tutti i film più o meno disturbanti che io abbia mai visto, questo è uno dei pochi di cui non mi sento di consigliare un rewatch (se non per voler approfondire alcuni punti che, ad una prima visione, possono apparire nebulosi). Ma attenzione, lo dico solo per la sua (positiva) pesantezza, non perché si tratti di un film demmerda, chiariamolo subito.
Lanthymos infatti, dopo l’esordio con l’incommentabile e quanto mai anti convenzionale Kinetta, tira fuori dal cilindro uno di quei conigli di cui non è facile discutere, uno di quei film che ti colpiscono con violenza e che ti fanno riflettere a lungo dopo la visione.
Coniugando assieme un po’ di Haneke e un po’ di Von Trier, il regista ci sbatte infatti subito in faccia una vicenda a dir poco agghiacciante, dove l’atmosfera surreale si respira sin dal principio, con rituali quotidiani decisamente discutibili e silenzi imbarazzanti che farebbero storcere il naso perfino a Mia Wallace (e non a causa di quello che nel naso era abituata a far transitare 😁).
Già vedere il significato alterato delle parole, non può non trasmettere una certa inquietudine, perché se ti dico di passarmi il telefono e tu mi passi il barattolo del sale, non è che iniziamo proprio col piede giusto, ma soprattutto se mi tocca credere che uno zombie altro non è che un tenero fiorellino giallo, allora sì che probabilmente abbiamo un serio problema (anche perché vuoi mettere che casino sparare in testa ad un tenero ed innocente fiorellino giallo???). Ma l’esempio dei vocaboli è solo uno dei pretesti per mostrare una terrificante deumanizzazione delle persone, che non hanno nome (vengono semplicemente indicati come la più grande o la più piccola), non possono mettere piede fuori dalla loro abitazione e che, come richiama il titolo, vengono maggiormente associati a dei cani piuttosto che a degli esseri umani (con tanto di scena grottesca dell’abbaio collettivo che ancora oggi non riesco a dimenticare).
Tutto il giochino si basa su un equilibrio incredibilmente instabile, pronto ad essere alterato in qualsiasi momento; e infatti basta veramente un niente a compromettere tutto…una semplice videocassetta ed un’addetta alla security pagata per garantire almeno un po’ di sollazzo al can…ehm volevo dire al figlio maschio. Basta poco perché la natura dell’essere umano è quella, e puoi cercare in tutti i modi di neutralizzarla ma, in un modo o nell'altro, prima o poi verrà fuori e non ci vuole di certo Darwin a spiegarlo.
Certo però che un paio di giochi appaiono interessanti, soprattutto per chi ha dei figli particolarmente vivaci (e mi riferisco in particolare al “respira l’anestetico e poi svegliati”).
L’incedere della pellicola è assolutamente lento e per la maggior parte del tempo non succede davvero nulla, ma incredibilmente il film ti prende ugualmente, anche solo nel mostrare le scene di vita quotidiana di questo quadretto disfunzionale. E poi quelle poche scene di violenza fisica colpiscono come macigni, proprio perché ci appaiono dannatamente realistiche tanto che, nel momento in cui la figlia si colpisce in faccia, senti quasi più male ai denti tu che lei…allucinante.
La figura del padre padrone (Christos Stergioglou) risulta molto interessante, ma sono le due ragazze a fornirci la prestazione migliore, Angeliki Papoulia nei panni della sorella maggiore e Mary Tsoni in quelli della sorella minore.
Una prestazione che si inserisce all'interno di un contesto a dir poco alienante, freddo e reso ancor più angosciante da colori spenti, con la prevalenza di un bianco quasi ospedaliero che contribuisce ad amplificare l’aria di inquietudine che si respira ogni secondo che passa. Tecnicamente poi non si può dire nulla a Lanthymos, che già qui mostrava di cavarsela piuttosto bene dietro la macchina da presa.
Il finale spiazzante chiude perfettamente il cerchio. Cioè a dire il vero non chiude una beata mazza, perché l’interpretazione su quello che accade ricade tutta sulle spalle dello spettatore, tanto che ad alcuni (non a me in questo caso) potrebbe dar quasi fastidio, ma si incastra perfettamente all'interno di un lavoro che affronta temi molto scomodi (non solo il totalitarismo familiare, ma pure l’incesto e tante altre belle cose) e che tra tanti dubbi ci lascia con una sola grande certezza: W LA TASTIERA 😋.
Giudizio complessivo: 8.5
Enjoy,
Trailer
Adoro Lanthimos. Il mio preferito è Alois, ma pure qui si vola altissimi.
RispondiEliminaEheh sì diciamo che il greco ci sa fare 😆...io credo di averlo preferito qui 😉
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