Regia: Rian Johnson
Allora.. immaginate di trovarvi improvvisamente catapultati in una sorta di Cluedo in cui tutti i personaggi e le ambientazioni del gioco si materializzano davanti ai vostri occhi. Una ricca tenuta di campagna in stile tardo ottocentesco, una numerosa famiglia che si direbbe uscita dalla pubblicità del Mulino Bianco e una cameriera che trova il cadavere del patriarca nella sua camera da letto la mattina dopo i festeggiamenti per il suo ottantacinquesimo compleanno.
Vi starete sicuramente chiedendo "ma come, il morto è già bello e che stecchito?". Ebbene sì. Perché Knives Out (questo è il titolo originale) è una vera e propria indagine in cui lo spettatore non è qualcuno a cui si vuole raccontare un fatto.
In questa pellicola, infatti, di fatti non ce ne sono o, meglio, tutto quello che doveva succedere è già successo ma, per capire come, quando e per mano di chi, occorrerà procedere ragionando a ritroso, analizzando i dettagli e andando oltre le apparenze onde evitare di pensare di aver capito tutto fin dall'inizio, di chiedersi per quasi tutta la durata della proiezione come sia possibile che nessuno si accorga di cosa sia successo quando la soluzione è praticamente sotto il loro naso per poi, quando ormai ogni cosa sembra darvi ragione convincendovi addirittura che la trama non sia poi un gran che, scoprire di non aver capito un beneamato niente.
C'è un che di poirottiano in tutto ciò, inclusa la presenza di un detective privato che, come il famoso investigatore uscito fuori dalla penna di Agatha Christie, non solo ha un nome francofono ma, come il suo predecessore belga, ha un fare sui generis che gli impedisce di farsi convinto dell'ovvietà di cui, invece, sembra essere persuasa quella stessa polizia con cui è chiamato a collaborare per conto di un committente di cui egli stesso non conosce l'identità.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Ritorniamo al Cluedo. Per chi di voi ci ha giocato almeno una volta nella vita, su chi ricadono i sospetti nel 90% dei casi? Esattamente, bravi! Credetemi, però, quando vi dico che questa è l'occasione giusta per capirne la ragione. Ve lo potrei anche scrivere qui, ma rischierei solo di togliervi il gusto di arrivarci da soli.
È chiaro che Rian Johnson ha fatto propria la lezione di Kenneth Branagh e del suo Assassinio sull'Orient Express non badando evidentemente a spese per la composizione di un cast i cui interpreti sono uno più famoso dell'altro, cosa che non torna solo utile a creare una certa familiarità tra il pubblico e dei personaggi di cui, fatta salva la lettura del romanzo, fino a quel momento non aveva mai sentito parlare né si era fatto un'immagine, ma permette anche di dotarsi dei volti più giusti per ciascun ruolo conferendo, pertanto, un'estetica più minuziosa e apprezzabile al tutto. Certo non posso negarvi che mi si stringe non poco il cuore a notare come per alcuni di loro il tempo sia passato e, pur mantenendosi in gran forma, sono ormai lontani gli splendori degli anni '80 e '90 ma, si sa, è una cosa che vale per tutti.
Tranne per Daniel Craig a cui, botox a parte (troppo, Daniel.. TROPPO!) devo comunque riconoscere un'ottima performance che, se all'inizio mi ha dato l'impressione di un'incapacità di venir fuori dal ruolo di James Bond, mi ha via via invece fatto ricredere e apprezzare l'idea di portare in scena il personaggio di Benoit Blanc come un double face in cui alla compostezza british del flemingiano 007 fa da contraltare una foto assai più yankee.
Giudizio complessivo: 9
Buona visione,
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