Ideatore: Derek Simonds
RECENSIONE
Ogni recensione che si rispetti inizia con una valanga di aggettivi altisonanti che dicono tutto e niente. Ed io ovviamente non voglio essere da meno. Si presenta come una serie introspettiva, ipnotica, non convenzionale e ambiziosa.
È una serie TV americana basata sull’omonimo romanzo della scrittrice tedesca Petra Hammesfahr. Si tratta di due stagioni da otto episodi ciascuna.
La prima stagione vede come protagonista Cora Tannetti: il percorso di riconoscimento prima, ed espiazione del peccato dopo, permettono di delineare il carattere della giovane donna, che uccide un uomo apparentemente senza motivo.
La seconda stagione invece vede come protagonista un ragazzino di 13 anni, Julian che con una semplicità glaciale toglie la vita ai suoi genitori.
È una serie per certi versi antologica, con la fine della prima stagione si esaurisce il percorso di Cora mentre con la seconda si cerca di far luce sul gesto atroce compiuto da Julian. Il comune denominatore è il detective che segue entrambi i casi: Harry Ambrose.
Si è testimoni di un percorso di indagine interna (psicologicamente parlando) finalizzata a localizzare e poi distruggere la ruota malata causa di Dolore. So che potrebbe sembrare aria fritta ma trattandosi di una serie molto introspettiva, è necessario guardarlo per capire. C’è una sorta di alienazione dell’atto in sé dalle ragioni. In genere gesti così atroci sono il risultato di traumi irrisolti causati da altri. Diciamo quindi che è una ricerca attorno alla Colpevolezza. Di chi è la colpa e chi è il vero artefice dell’omicidio? Si è messi davanti all’evidenza che il vero orrore non è l’atto in sé ma l’idea che l’ha generato.
A rendere ipnotica questa serie ci sono sia l’incredibile performance di Jessica Biel che la cura nella scelta della colonna sonora, che è per certi versi la vera protagonista dello show. La decisione di continuare a guardare episodio dopo episodio non è volontaria: lo spettatore è schiavo del tempo scandito dalle musiche.
Per quanto riguarda la seconda stagione la questione è diversa in quanto pur essendo interessante, il ritmo è meno incalzante e la storia per certi versi si ripete. Infatti, potrebbe risultare più pesante e difficile da seguire. Personalmente non l’ho apprezzata ma per correttezza avviso che il mio non è un giudizio super partes, la ragione infatti si potrebbe celare dietro ad una innata antipatia viscerale verso il giovane Julian.
A rendere non convenzionale questa serie è la figura del detective. È un agente senza dubbio in gamba ma con una serie di problemi e disagi che pur facendo da sfondo di un racconto intricato mettono ansia e a volte anche disgusto. Non è un detective affascinante e tormentato alla Rustin Cohle (in True Detective), oppure giovane impulsivo ma stacanovista alla David Mills (in Seven). Qui il detective Harry Ambrose non è né affascinante né tormentato né giovane né impulsivo. È un detective che indaga casi di omicidi a sfondo religioso, scardinando la relazione fra peccato e peccatore (appunto "sinner" in inglese). A renderlo esperto di peccati c’è il suo trascorso: è il primo ad essere un peccatore e questo fa di lui un ottimo candidato. Conosce il peccato e cosa il senso di colpa spinge a fare.
A chi non l’ha ancora vista consiglio caldamente la visione della prima stagione. La necessità di dover tralasciare la seconda stagione, per poter tessere le lodi di questa serie, mi spinge a dire che forse questo progetto è un po’ troppo ambizioso. Le ragioni si possono ricercare nell’assenza della Biel, nel personaggio di Julian o nella madre di Julian, anche lei estremamente noiosa.
Ma probabilmente molto più semplicemente il problema sono le trame fin troppo sovrapponibili: perdendo l’effetto sorpresa si compromette la buona riuscita di un thriller.
Buona visione,
Trailer
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