Regia: Yorgos Lanthimos
RECENSIONE
“Love has boundaries”
Ne è passato di tempo per il nostro vecchio Yorgos eh?
Da Kinetta, nel lontano 2005, il regista greco di scuola Kubrick ha fatto una bella strada, diventando molto conosciuto agli inizi, nel panorama indipendente, grazie a quello che tutt’ora reputo il suo miglior lavoro so far, Kynodontas naturalmente.
Da qui in poi, salvo la parentesi Alps, per Lanthimos c’è stato lo sbarco e la successiva conferma nel panorama hollywoodiano, con la prima opera in lingua inglese, e allo stesso la prima delle due produzioni A24 con Colin Farrell attore protagonista: The Lobster.
A The Lobster seguirà un altra magnifica pellicola, che in parte seguirà il concetto di disturbing-drama di Dogtooth, The Killing Of A Sacred Deer.
In tutto questo però, c’è qualcosa che manca a Lanthimos. Manca il riconoscimento più prestigioso, quello che ogni regista/attore/attrice/sceneggiatore vorrebbe stringere almeno una volta in mano. L’Oscar.
E se già con The Lobster e Kynodontas il regista c’era andato vicino, guadagnando una candidatura all’Academy per ognuno, è con la sua ultima opera, realizzata (quasi a sorpresa) soltanto un anno dopo The Killing Of A Sacred Deer, a sbaragliare completamente, o quasi (vedi la voce “Roma”), la concorrenza.
10 nomination, tra le più importanti, e Yorgos qua virtualmente, all’apice della sua carriera da regista.
La Favorita è il primo film in costume di Lanthimos e anche il primo film del quale il greco non cura la sceneggiatura, qua affidata a Deborah Davis e Tony McNamara, e nonostante quest’ultima si sposi alla perfezione con lo stile di Yorgos e viceversa, si può notare un cambiamento evidente tra The Favourite e tutte le precedenti opere del regista.
Infatti La Favorita è il film più “mainstream” (tra enormi virgolette), e naturalmente il più “accessibile” ad un pubblico più esteso (ma sempre abbastanza ristretto, sopratutto rispetto ad altri candidati al titolo di miglior film 2018) di Yorgos Lanthimos, fino ad ora.
Scrivendo queste parole, immagino già che qualcuno di voi (che non l’ha ancora visto), si starà facendo un idea sbagliatissima della pellicola. Lanthimos, infatti, lungi dall’essere un regista per le masse, non si risparmia neanche in un film di questo genere, di mostrare la sua follia e la sua ecletticità.
Quel suo senso del weird, quella freddezza e quella crudeltà latente, che molto di voi hanno già apprezzato in Dogtooth o The Killing Of A Sacred Deer, è presente più che mai.
In La Favorita c’è tutto lo stile di Lanthimos, tutto il suo cinema, supportato da una sceneggiatura non scritta da lui, ma non per questo, mediocre.
Se possibile, è l’esatto opposto.
La sceneggiatura di The Favourite è, insieme a quella di First Reformed (che è uno dei miei film preferiti dello scorso anno), incredibile.
I rapporti che intercorrono tra il trio di protagoniste, che qua sono interpretate da tre attrici assurde, l’evoluzione di ognuna di loro nel corso dei capitoli che compongono La Favorita e la perfetta aggiunta di intelligentissime battute che compongono la parte più “comedy” dell’opera sono solo il culmine di un opera, non solo visivamente, perfetta.
La regia di Lanthimos stessa è funzionale all’opera, e l’ausilio del fish-eye da ancora più risalto ai bellissimi spazi secenteschi di Hatfield House, dove si svolge gran parte dell’opera, allo stesso tempo storpiandoli.
Come se non bastasse, Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz fanno praticamente a gara, un po’ riflettendo paradossalmente anche i personaggi che interpretano, a chi ha più talento.
Dopo averci riflettuto, sono abbastanza sicuro che la Colman ne risulti la vera vincitrice al 95% dei casi.
Il suo personaggio è il più emotivo e combattuto tra i tre, ai limiti della schizofrenia, e che cerca di nascondere le sue enormi debolezze sotto una fragile scorza. È niente meno che una bambina viziata, ma sul trono di Inghilterra.
Facile da prendere, facile da maneggiare e plasmare a proprio piacimento, la regina Anna è facile preda per tutta l’opera, delle ingerenze tra le cugine Abigail (Emma Stone) e Sarah (Rachel Weisz), due sanguisughe interessate rispettivamente a denaro e potere, a cui non interessa minimamente il fato della propria nazione, ma il solo quieto vivere, l’indipendenza come donne, e la possibilità di essere nella più vantaggiosa parte della catena alimentare.
Ma, nonostante ciò, tutte e tre, in una delle più potenti scene degli ultimi anni (e Lanthimos ci sa sempre fare in questo campo, poco da fare), quella finale, si ritrovano sullo stesso piano.
Tutte e tre, in un certo senso, cercando la loro indipendenza, si ritrovano l’una controllata e soggiogata dall’altra, e da un uomo.
Harley.
Alla fine della storia è lui il vero vincitore, in un film quasi tutto al femminile, e in un opera, La Favorita appunto, in cui la figura dell’uomo è nella maggior parte dei casi, un mero animale da tenere in gabbia, come un coniglio, sotto il controllo delle tre donne.
La Favorita gioca su questo.
È una battaglia per il trono e per la propria indipendenza, tra amore, arrampicatori sociali, denaro e una guerra, quella con la Francia, lontana, troppo lontana per diventare un problema esplicito.
Troppo lontana per fare davvero, concretamente, paura.
Giudizio complessivo: 9+
Buona visione,
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