Regia: Godfrey Reggio
RECENSIONE
Chi di voi ha mai sentito parlare di Godfrey Reggio?
Non Ezio Greggio mi raccomando, che lo so che qualcuno di voi ci stava cascando, ma lo ripeto di nuovo, Godfrey Reggio, mente di questa vera e propria opera d’arte che risponde al nome di Koyaanisqatsi.
Beh se non lo avete mai sentito nominare è giunta l’ora di colmare la lacuna, perché credetemi un giorno mi ringrazierete.
Il nome del film (?), me ne rendo conto, è difficile e quantomai bizzarro, ma va ricercato all’interno della “famiglia” Hopi, popolazione indigena dell’America che con il termine “qatsi” indica la “vita” e con il termine "Koyaanisqatsi" fa riferimento ad una “Vita senza equilibrio”, una “Vita fuori controllo”. E dopo questo, giusto perché faceva brutto fermarsi qui, Reggio dirigerà prima Powaqqatsi (“Vita che consuma le forze vitali di altri esseri per promuovere la propria vita”) e in seguito Naqoyqatsi (“Vita in cui ci si uccide a vicenda”), per concludere la cosiddetta “trilogia qatsi”, una trilogia che, come si può intuire dal significato dei titoli, fa riflettere affrontando temi che ancora oggi appaiono estremamente attuali (e qui eravamo nel 1982, non scordiamocelo).
La trama non esiste, i dialoghi neppure, ma ti rimane dentro, fatichi davvero a dimenticarlo.
Koyaanisqatsi lo si può definire come una sorta di documentario onirico/surreale composto da vari filmati, prima velocizzati e poi rallentati grazie ad un sapiente uso sia dello zoom che del time lapse, che fa emergere pian piano un ritratto frenetico della civiltà umana.
Il mondo ha i suoi ritmi, e noi lo stiamo distruggendo e la scena finale ci sbatte in faccia la realtà.
Il film guida infatti lo spettatore attraverso un viaggio che inizia raffigurando la natura per quello che è, calma e tranquilla, fino all’intrusione dell'uomo, diventando sempre più accelerato, come accelerata è la vita di tutti noi, sempre in bilico e sempre sul filo del rasoio.
La potenza delle immagini viene amplificata dalla sapiente colonna sonora minimalista firmata dal minimalista Philip Glass, che accompagna perfettamente ciò che andiamo vedendo.
Un'ora e mezza circa che vola via in pochi secondi, a fronte di un lavoro che di anni ne ha richiesti parecchi per essere girato (ben 6).
Capolavoro da gustare tutto di un fiato, non perdetevi l’occasione.
Giudizio complessivo: 9.5
Enjoy,
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