Regia: Alice Rohrwacher
Se l’Italia avesse voluto ambire alla statuetta per il miglior film straniero agli Oscar 2019, selezionare Dogman come rappresentante non è stata di certo la scelta più azzeccata.
Presentato anch’esso a Cannes e in competizione per la Palma d’Oro, Lazzaro Felice era la più grande promessa italiana di questo 2018 e, tra apprezzamenti e qualche elogio, è arrivato il premio per la miglior sceneggiatura dalla giuria di Cannes.
Scritto e diretto da Alice Rohrwacher, il film narra il surreale racconto di come 54 schiavi, ignari dell’evoluzione sociale e dell’abolizione della mezzadria avvenuta cinquant’anni fa, vengano liberati e trasportati dalla campagna alla città.
Il protagonista è Lazzaro, un giovane ragazzo che vive con ottimismo, altruismo e spensieratezza le sue giornate. La sua figura sembra accostarsi a quelle dei più amabili soggetti letterari, dalle novelle Pirandelliane al Rosso Malpelo di Verga. Il loro è un buonismo che cade spesso vittima di abuso, e Lazzaro sembra in qualche modo accettare inerme la sua condizione. A dare un valore alla sua vita sarà l’amicizia con Tancredi, il figlio della nobile Marchesa, la stessa che impone legge ai suoi 54 schiavi. Ma Tancredi è stanco della propria vita e coinvolge Lazzaro nella fuga, inscenandone il rapimento.
L’amico lascia la città, e presto i 54 schiavi tra cui Lazzaro faranno altrettanto. Entra ora in gioco l’affascinante concettualità autoriale che più esalta e rende unica e personale la pellicola.
Le stagioni mutano velocemente, il tempo sembra scorrere con estrema velocità, ma rimane inspiegabilmente bloccato per i mezzadri, che non invecchiano mai al contrario dei cittadini. Il lupo solitario che gira per le strade si contrappone all’innocenza di Lazzaro, e tra le scene più astratte e suggestive vi è il rapimento della musica d'organo in una cattedrale, strappata e trascinata via dal vento.
Ulteriormente ampia è la lettura che si può fare sul piano filosofico. L’umanità è impossibilitata ad adattarsi di fronte a verità rimaste nascoste sin dalla nascita, ed è così che il mito della caverna di Platone riprende vita.
E se l’autrice non accenna mai a dare concrete spiegazioni, lo spettatore è continuamente posto di fronte a libere interpretazioni che rischiano di essere spesso più grandi di ciò che il concetto vuole realmente rappresentare.
A livello recitativo, la produzione non spicca particolarmente. Trattasi sempre e comunque del classico cast italiano che, tra nomi noti ed emergenti, fatica oggi a farsi prendere sul serio. Ma se da un lato la sceneggiatura punta a valide analisi interiori, dall’altro gli attori non sono mai realmente esposti a rilevanti prove recitative.
Grande nota dolente è invece la scelta del rapporto schermo, un troppo misero e stretto 1,66:1 che, smussato negli angoli simulando una sorta di schermo televisivo di vecchia data, si priva di un’efficace fotografia. Le vedute perdono spazialità e le riprese sui pittoreschi scenari bucolici si riducono a irrilevanti scorci paesaggistici.
Giudizio complessivo: 7
Buona visione,
Trailer
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