Metro 2033


Autore: Dmitry Glukhovsky

Affascinante romanzo di stampo sovietico, ambientato in futuro ove le guerre nucleari hanno distrutto ogni cosa e dove l’unica speranza di poter tirare avanti e riprendersi un qualcosa che può avvicinarsi ad essere chiamato “vita” è quella di rifugiarsi là dove non batte il sole, nelle tenebrose gallerie della Metropolitana.

E qui ci troviamo proprio nella metropolitana di Mosca, una città che mi ha sempre affascinato, così come mi ha affascinato da sempre tutto ciò che ruota attorno alla cultura sovietica, tanto che solo a vedere la cartina della Metro, stampata sia appena dietro la copertina (in formato ridotto), sia sul fondo del libro (in formato completo), con quella Linea Rossa nel mezzo costellata di falce e martello, mi sale un brivido lungo la colonna vertebrale.

Ed è quindi chiaro che la lettura inizia sotto i migliori auspici, trovando consensi via via che si fa strada una possibile deviazione verso tematiche di stampo politico, in particolare quando sembra quasi che si voglia mettere l’accento su una rinascita del vecchio glorioso comunismo, partendo appunto dalle ceneri di ciò che lo ha affossato. Emblematica a tal proposito la riflessione in merito alle varie stazioni preoccupate appunto dalla crescente propaganda comunista che si stava facendo sempre più violenta, dal momento che “La storia dimostrava, del resto, che non esisteva metodo migliore di una baionetta, per inoculare il virus del comunismo”.

Le ambientazioni sono rese benissimo e non fatico a credere che dal libro sia stato tratto un gioco di grande successo, quasi che in più di un’occasione mi è salita la voglia di andarmelo a cercare.

La lettura, soprattutto nelle prime fasi, può risultare leggermente ostica, in particolare per chi è abituato ad altri stili narrativi come il sottoscritto. I pochi capitoli e un’unica storia, raccontata senza alternanze con vicende sviluppatesi parallelamente, un po’ mi ha spiazzato, avvertivo ogni tanto il bisogno di uno stacco per poter prendere una boccata d’aria, ma niente non c’era verso e confesso di aver faticato un po’.

Ma ben presto questa sensazione passa, perché cominci pian piano ad entrare in empatia con Artyom, il ragazzo protagonista di questo incredibile viaggio verso una possibile salvezza della stazione in cui abita. Un viaggio talvolta ai limiti della realtà e difficilmente credibile, ma chissenefrega in fin dei conti, più passa il tempo e più sei coinvolto, ti sembra di essere proprio lì con lui in quelle gallerie, avverti i sussurri delle anime dei morti e i furtivi movimenti dei ratti e niente va già benissimo così.

Le descrizioni del mondo post apocalittico poi sono pregevoli e probabilmente lasciano intendere un timore (molto fondato per altro) dell’autore per uno scenario che non appare così impossibile da realizzarsi. Gli esseri mostruosi che popolano quella che una volta era la nostra Terra mettono in evidenza la grande fantasia di Dmitry Glukhovsky, mentre la parte finale (veramente bellissima) con il discorso sui presunti temibili Tetri fa emergere la parte più umana ed emozionale.

Il Diario di Artyom con quell’epilogo che da speranza, da leggere tutto in apnea, conclude magnificamente una lettura che ha stentato un po’ ad entrarti sotto pelle, ma che quando lo ha fatto non se ne è più andata.

Giudizi complessivo: 8
Enjoy,



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