Regia: Coralie Fargeat
RECENSIONE
Vendetta: sentimento che scaturisce da un desiderio di farsi giustizia generato da un impulso volitivo che segue al rancore o al risentimento.
È proprio questa la definizione che meglio esemplifica l’esperienza visiva del primo lungometraggio della regista Coralie Fargeat, prima e unica donna a cimentarsi con questo genere che negli anni 70 aveva fatto la sua fortuna.
La bellissima Matilda Lutz interpreta Jennifer (nome che è un chiaro omaggio al film del ‘78 Non violentate Jennifer), la quale viene invitata da Richard nella sua baita nel deserto a passare qualche giorno, prima dell’annuale battuta di caccia con gli amici Stan e Dimitri.
L’entrata in scena di questi due personaggi, rompe l’idillio iniziale che si era creato tra Richard e Jen, che un pó per in ingenuità, un pó per esibizionismo, comincia a scherzare con i due amici appena arrivati, esibendosi in una danza provocatoria durante una festa.
Il mattino seguente Jennifer si ritrova sola in casa con Stan, il quale la stupra sotto lo sguardo indifferente e passivo di Dimitri.
Quando Richard scopre l’accaduto cerca prima di corrompere Jennifer, trasferendo sul suo conto dei soldi al fine di ottenere il suo silenzio e successivamente la scaraventa giú da un dirupo, lasciandola brutalmente ferita per mezzo di un albero conficcato nell’addome dopo l’impatto.
I nostri 3 “eroi” tornati sulla scena del crimine per sbarazzarsi definitivamente del corpo troveranno solo cenere e sangue perché Jennifer è riuscita a liberarsi ed è pronta per la sua VENDETTA!
Il film riesce a compensare una sceneggiatura scontata e poco originale, sia con l’interpretazione dei protagonisti, ma soprattutto grazie alla magistrale regia della Fargeat che essendo una donna, sa come inquadrare un corpo femminile, infatti la prima parte è piena di movimenti di macchina sinuosi che in questo contesto non assumono semplicemente un valore voyeuristico, ma ci danno ancora di piú l’idea delle due parti che coesistono nella personalità di Jennifer, la prima innocente, provocante, la seconda cruenta, guerrigliera.
Il film inoltre è carico di simbolismi e parallelismi, prima tra tutti è la scena in cui la nostra Jennifer si deve togliere il ramo che le è rimasto nell’addome, e per chiudere la ferita scalda una lattina di birra, la quale ha come emblema una fenice che rimane impressa a fuoco sul suo corpo, chiara metafora volta ad esprimere la rinascita, la resurrezione dalle proprie ceneri come guerriera.
Altro punto interessante è il montaggio comparato che viene usato come similitudine tra Stan (l’uomo che stupra Jennifer) e l’iguana, un rettile viscido, e il montaggio frenetico nella sequenza da trip dopo l'assunzione della droga peyote.
Altro elemento simbolico è la scena in cui Stan si taglia la pianta del piede con un vetro, facendosi un taglio che ha la stessa forma di una vagina, dove il nostro Stan ora è costretto a ficcare le dita per rimuovere i pezzi di vetro tra urla atroci.
L’approfondimento psicologico dei personaggi seppur limitato ci fornisce dati a sufficienza per la loro caratterizzazione e credibilità.
Coralie Fargeat, qui alla sua prima fatica registica, gira esteticamente benissimo; questo conferisce al film una potenza visiva non indifferente, con una fotografia che esprime tutte le sensazioni, dal caldo, al dolore, al trip mentale da peyote.
Tutto questo poi viene completamente spezzato dalle scene splatter e gore che non sono per niente patinate, crudissime e colpiscono nel segno praticamente sempre.
In conclusione diciamo che Revenge è un film interessante che aggiorna e potenzia un genere semplice e stra-abusato; nonostante qualche scivolone di sceneggiatura è godibilissimo, il che puó essere il giusto compromesso per una serata non troppo impegnata, ma che lasci comunque il cervello acceso.
Giudizio complessivo: 7
Enjoy,
Nessun commento:
Posta un commento