Regia: Eric England
Avendo messo da poco le mani sul Contracted Fase II, è necessario fare un passo indietro e ricordare dove eravamo rimasti, sempre che poi ci sia un nesso tra i due (fatto non così improbabile visto come termina questo primo capitolo).
E qui ci troviamo di fronte a quella che potrebbe essere definita come l’origine di una specie di paziente zero, un paziente da cui avrebbe potuto vedere la luce un’epidemia zombesca di soddisfacenti proporzioni. In pratica è la breve storia (breve perché in fondo sono solo 3 o 4 giorni) della povera Samantha, che pagherà a caro prezzo una notte di alcool e sesso occasionale non protetto.
Appare quindi piuttosto chiaro l’obiettivo del regista di sensibilizzare la gente su questo problema e, seppur non gradisca particolarmente queste lezioncine forse un po’ troppo presuntuose (soprattutto per come la sua lesbicitudine viene osteggiata dalla madre, lasciando quasi intendere che si sia meritata la malattia), vi garantisco che per le settimane a seguire indossavo almeno 2 preservativi e un paio di volte mi veniva voglia di metterne un terzo.
Il progredire del contagio della ragazza si fa via via sempre più interessante, anche se forse avviene tutto un po’ troppo velocemente, ma l’idea di seguire giorno per giorno in stile quasi documentaristico la faccenda piace.
Il trucco è ben congegnato e ottimamente realizzato e riesce ad inquietare come ci si aspetterebbe, grazie anche ad alcuni particolari su cui ci si sofferma intelligentemente. Ed è così che tra vermi, occhi arrossati che neanche dopo una settimana ad Amsterdam, denti marci ed unghie che vengono via come cerotti, si riesce a consumare il dramma della ragazza, che si mantiene sempre in bilico tra l’essere vittima della situazione, abbandonata da tutti e respinta, e spietata vendicatrice affamata di rivincita (e non solo).
Najarra Townsend, nonostante non possa vantare un palmares da Oscar, se la cava piuttosto bene, aiutata da una discreta figaggine che riesce a renderla attraente anche nello stadio avanzato della malattia (e in questo senso, la scena della limonata tra le due amiche con spargimento di sangue non previsto, aiuta non poco). Ma è il resto dei personaggi che non convince fino in fondo, non tanto a livello di interpretazione (che pure non è così straordinaria), ma quanto per una banalità nei loro comportamenti e nelle loro caratterizzazioni (la mamma bigotta, il tizio azzerbinato, la lesbica mascolina tutta di un pezzo, il medico bigotto pure lui ed incapace di trovare soluzioni ecc ecc…), unita ad una discreta minchionaggine di sottofondo che francamente stona un po’.
La trama poi non è chiaramente il punto forte della faccenda, non vi sono colpi di scena, virtuosismi a livello di sceneggiatura o quant’altro, ma è solo il seguire passo passo lo sviluppo di quello che alberga all’interno della ragazza, con alcuni tentativi, non sempre riusciti, di infilare questioni di cuore, quali pretesti per sfogare la violenza trasmessa dal virus.
Ho apprezzato tuttavia l’idea di non fornire spiegazioni sull’accaduto, anche perché in molti casi si è caduti nel grottesco involontario, privilegiando l’intrattenimento ed una breve durata, che ci conduce rapidamente ad un ottimo finale, semplice ma d’effetto.
Non il capolavoro del secolo, ma un film che si merita un’occasione, perché di sicuro non passa inosservato e per un po’ te lo ricordi.
Giudizio complessivo: 7.2
Enjoy,
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