Love Exposure


Regia: Sion Sono


Da dove iniziare? 

In quattro ore ve lo garantisco, ne succedono di cose, ma uno dei fili conduttori della pellicola è la fantastica scelta dei brani musicali che accompagnano il tutto. Lo so, di solito la colonna sonora di un film viene lasciata alla fine di una recensione ma, in questo caso, penso possa essere tranquillamente trattata come primo argomento.


Pur non essendo un grande esperto di musica classica non posso che rimanare incantato di fronte all'uso che Sono fa dei vari brani, specialmente con il Bolero di Ravel e, soprattutto, il secondo movimento della settima sinfonia di Beethoven, un vero capolavoro in grado di far venire i brividi e tenere incollati allo schermo, donando maestosità alle immagini.


Oltre a questi due brani ci saranno altre canzoni provenienti dal mondo del rock, del pop e in misura abbondante dalla musica sacra e dai canti gregoriani. Scelta insolta, no?
Beh, non molto se pensiamo che il film ruota attorno al concetto di religione, almeno in parte.

La storia infatti è quella di Yu, ragazzo nato da una famiglia iper-cattolica nella quale, purtroppo, la madre muore giovane per malattia. Il padre decide quindi di diventare sacerdote ma l'unico tipo di legame che avrà con il figlio sarà la confessione o, per meglio dire, degli interrogatori durante i quali il povero figliolo è costretto a confessare ogni peccato, anche il più insignificante. Per non doversi più inventare dei falsi peccati e per poter continuare ad avere quest'unico, morboso, rapporto con il padre, Yu decide di peccare intenzionalmente e, per farlo, si unirà ad una gang di ragazzi un po sbandati.

Nonostante le prime azioni malvagie, il padre non sembra mai turbato dai peccati del figlio e lo assolve sempre; questo fino a quando Yu decide di cimentarsi con la fotografia voyeuristica, immortalanado con la sua macchina fotografica il sotto della gonna delle ragazze. Questo farà infuriare il padre e renderà Yu sempre più volenteroso nel continuare questa pratica. 

Accanto alla figura del giovane voyeur ci saranno poi quelle di Yoko, una giovane ragazza che odia profondamente il genere maschile e Aya, una pazza psicopatica a capo di una setta religiosa chiamata Chiesa Zero.



La trama è ultra ridotta e mi sono limitato a descrivere la prima oretta di film, senza quindi fare spoiler di alcun tipo. In realtà questo mondo esageratamente grottesco ideato dal regista è vario e popolato da tantissimi personaggi, ognuno diverso dagli altri e dotato di una diversa e forte personalità, nonostante Yu e Yoko siano comunque i personagi meglio scritti della pellicola.

Come in ogni film del cineasta giapponese, dovremo azionare il nostro cervelletto per riuscire a capire quello che ci vuole comunicare, nonostante non sia poi così intuitivo.
Un suggerimento però ci viene dato: il titolo.
Il film è la rappresentazione dell'amore, in tutte le sue molteplici forme: c'è l'amore paterno, l'amore "classico", l'amore passionale, l'amore nell'odio, l'amore platonico e l'amore per la Fede. Su quest'ultimo il regista si sofferma per parechio tempo, cercando soprattutto di farci capire cosa sia veramente la fede e quale sia la sua funzione nella società odierna, una società dominata dalle Perversioni, come vengono più volte definite le tendenze di Yu e dei suoi compari.


Yoko è la fede fanatica, rappresenta il modo in cui certa gente riesce a farsi forza con la Bibbia (in questo caso si parla di cattolicesimo ma il discorso è valido per qualsiasi forma di fede) ma la prende troppo seriamente, considerando Gesù come una rockstar al pari di Kurt Cobain.
Aya è la fede bigotta, quella ottusa che non serve a far liberare le menti quanto piuttosto ad imprigionarle e renderle schiave di qualcosa di maligno, concetto opposto a quello di religione stessa. Questa visione è quella che, di sicuro, risulta più violenta e morbosa.
Yu è il credo superficiale ed opportunista, prega solo per poter avere un rapporto con il padre e per trovare la sua Maria, la donna dei suoi sogni promessagli dalla madre prima di morire.

Accanto a queste figure perlopiù negative c'è anche quella del padre, una figura ambigua direi che però riesce in diverse occasioni a dimostrarci il lato positivo della fede. Lui infatti, con i suoi sermoni, riesce a commuovere i fedeli ed a dare speranza a chi non ne ha, nonostante lui stesso si innamori più volte e si senta combattuto tra sentimento e ragione. 
Altra piccola critica del regista è l'adorazione di idoli più che della fede, come ad esempio la Madonnina in ceramica di Yu che si porterà sempre dietro, non più simbolo della fede ma, piuttosto, di promessa nei confronti della madre.

La società giapponese, come spesso accade nel cinema di Sono, viene esagerata e diventa quasi una parodia di sé stessa, una parodia in questo caso buffa ma allo stesso tempo drammatica e violenta. La durata del film permette infatti al regista di sperimentare e di fondere insieme generi e stili, prendendo ispirazione dalle pellicole di arti marziali giapponesi degli anni '70 fino a film di Tarantino come, principalmente, Kill Bill (la violenza, la divisione in capitoli, il carattere dei personaggi...).


Interessanti anche la costruzione di questa Chiesa Zero, pensata come una delle molteplici sette succhiasoldi che si sono succedute nella storia (vedi Scientology) e la visione personalissima che il regista ha delle perversioni, non considerate come un handicap sociale quanto piuttosto come forma di libertà di espressione individuale, concetto espresso diverse volte nel cinema d'autore di ogni paese in qualsiasi epoca.

Tecnicamente il film è ben realizzato pur non risultando tra i migliori si Sion Sono (almeno sotto questo aspetto). La camera a mano è immersiva e spesso ci sentiremo parte degli avvenimenti; la fotografia non è particolarmente ricercata e le ambientazioni urbane non riescono a farsi ricordare, nonostante gli interni della chiesa nella quale predica il padre di Yu sono veramente curati e le luci gestite alla perfezione. Ovviamente l'idea di fondo di film è già trash di per sé quindi il film non può che risultare tale in alcuni frangenti, in particolar modo nella parte centrale (fotografare mutandine...tra l'altro idea venuta al regista perché praticata da un suo conoscente).

Cos'altro dire se non che questo Love Exposure è un esperienza audiovisiva alla quale bisogna dare una chance. Non fatevi scoraggiare dalla lunghezza e cercate di guardarlo, se possibile, in una sola volta...non ve ne pentirete! Consigliatissimo a tutti gli amanti del cinema, quello bello e potente.

Giudizio complessivo: 9.5
Buona Visione,


Stefano Gandelli




Trailer





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