I, Tonya


Regia: Craig Gillespie

I, Tonya non è il tipo di film che solitamente guardo e tantomeno recensisco, diciamo che è piuttosto lontano dal mio genere preferito, ma sentivo che in questa vicenda c’era qualcosa di interessante.

Che poi, ad essere sinceri, alla fine riesco sempre a farmi coinvolgere da quelle storie che narrano le gesta di sportivi in un certo senso maledetti, come il mitico Goat di cui ho parlato nel fantastico Rebound o come la pattinatrice Tonya Harding, protagonista della pellicola di cui vado parlando.

Una protagonista a cui il talento di certo non manca (e difatti in più di un’occasione vengono posti in rilievo gli straordinari elementi tecnici che riesce a concludere durante le esibizioni), ma alla quale manca quella grazia e quella femminilità che avrebbero potuto portarla ben più lontano di dove in realtà è riuscita ad arrivare (che poi un secondo posto ai campionati del mondo non è che sia esattamente da buttare). Elementi questi che risultano difficilmente allenabili e che contribuiscono ad alimentare il lento malessere interiore che piano piano si impadronisce della ragazza, limitandone i progressi.


Ed è qui che forse si registra una prima lieve pecca di questo lavoro, ovvero il non sapere se puntare più sulla componente sportiva o su quella drammatica e finendo spesso per mescolare le due con esiti non sempre convincenti, sebbene i punti a favore siano più di uno.

La figura della madre in primis, che è senza dubbio ciò che più colpisce e che più rimane impresso nella mente dello spettatore, grazie ad una sapiente interpretazione di Allison Janney. E a questo proposito, visto l’enorme potenziale del personaggio, mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento delle motivazioni che l’hanno spinta ad essere così odiosa e repressa, anche rischiando di andare leggermente fuori tema, rispetto al fulcro centrale della faccenda, quella Tonya la cui vita, da quello che abbiamo potuto vedere in queste due ore scarse, non deve essere stata proprio una passeggiata di salute. La scena del coltello, in particolar modo, risulta molto toccante e regala persino qualche brivido.


La protagonista poi, per quanto si tratti di vicende realmente vissute, ricorda il tipico personaggio che potrebbe essere uscito da un film di Aronofsky (il riferimento a Black Swan mi viene piuttosto facile da immaginare) e, grazie alla buona prestazione di Margot Robbie, regge bene il confronto sia con l’ingombrante figura della madre che con quello forse ancora più imgombrante della vera Tonya Harding.

Ma ciò che deve far riflettere è il fatto che ad oggi molti sono i casi in cui genitori invasati riescano nell’intento di distruggere la vita dei propri figli a causa di aspettative sportive ben più elevate della realtà (anche se Tonya in questo caso era un potenziale fenomeno, ma spesso sono i padri e le madri dei pipponi ad indirizzarsi maggiormente verso la componente più malsana dello sport). 

E, fra tutti gli sport esistenti, devo ammettere che questo sia uno di quelli che conosco meno, tanto che mi riesce difficile valutare la bontà delle poche scene in cui vengono mostrate le esibizioni delle pattinatrici, ma ci fidiamo sulla parola. 


Alcuni passaggi registici poi non sono affatto da disprezzare, per cui si può tranquillamente promuovere il lavoro di Craig Gillespie, che non vanta certo un curriculum stellare, ma che nel complesso riesce a tirar fuori un buon prodotto, nonostante alcuni momenti di fiacca, maggiormente tangibili nella parte post “incidente”.

Giudizio complessivo: 7.3
Enjoy,





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