Regia: Fernando Di Leo
Dio (o chi per lui) benedica in eterno Fernando Di Leo, per tutto quello che ha dato al cinema, in particolare alla sezione del poliziottesco italiano che, grazie anche a registi come lui, Girolami, Lenzi, Enzo “Punto G.” Castellari e molti altri, in quegli anni è letteralmente esploso.
E “Milano Calibro 9”, si inserisce di diritto tra i più riusciti esponenti del genere, andando a comporre (anzi a cominciare) una pazzesca trilogia firmata proprio da Di Leo in un paio d’anni e comprendente, oltre a questo, due altre perle quali “La Mala Ordina” e “Il Boss”.
Già l’inizio è fenomenale, con l’accompagnamento delle musiche incalzanti di Luis Bacalov, Marione Adorf che sbraita come solo lui sa fare “Dove sono i soldi?, Dove sono i soldi?, Dove sono i soldiiii?”…Poi BOOOM e titoli di testa. Applausi.
Il tasso di violenza è, come vuole il genere, sempre molto alto e non viene risparmiato nessuno, tanto che il timore di affezionarsi troppo ad uno dei protagonisti è altissimo, dal momento che molto spesso per i propri beniamini non c’è un finale esattamente lieto. E chissà se qui verrà confermata la tradizione…
E introdurre i protagonisti non è stato un caso, dal momento che le prestazioni recitative ed il carisma sfoderato dai personaggi ha davvero pochi eguali (forse solo Maurizio Merli e Tomas Milian possono tenervi testa). In particolare mi riferisco all’ottimo Gastone Moschin che, con quel ghigno appena abbozzato, non può non farsi volere bene, ma soprattutto al granderrimo Mario Adorf, qui davvero in eccellente spolvero. Alcune sue uscite sono da Oscar e quella faccia paonazza che lo accompagna nei momenti in cui si infervora mostra chiaramente quanto sia effettivamente dentro nella parte (è piuttosto chiaro che, se all’epoca te lo trovavi davanti in un vicolo buio, gli consegnavi portafoglio e cellulare, che non esisteva, all’istante).
La figura dell’Americano, interpretato dal super prolifico Lionel Mess…ehm no volevo dire Lionel Stander assume un qualcosa di mistico, prima che poi il suo volto venga svelato e appaia assolutamente perfetto per il ruolo ricoperto, mentre assolutamente mistica, come nell’altro capolavoro “Non Si Sevizia Un Paperino” resta la splendida Barbara Bouchet (almeno fin quando ha tutti i denti).
Lo svolgimento si discosta un po’ dalla tipica trama dei poliziotteschi, dove gli inseguimenti e la caccia del Commissario (quasi sempre interpretato da Merli o da qualcun altro che comunque tenta con scarso esito di fargli il verso) ai malviventi assumono il controllo totale della vicenda; qui si dà maggior spazio alle vicende della Banda dell’Americano, strizzando più l'occhio al noir, ma l’intrattenimento è assolutamente garantito ugualmente, dato che il film non ti lascia un attimo di tregua.
Inframezzandosi poi bene con alcuni tentativi di critica nei confronti dei ricconi (con tanto di breve esasperazione del concetto che “La legge è uguale per tutti”), sono diverse le scene epiche che meriterebbero la menzione speciale, tra cui ricordo l’ottimo scambio “Guarda se dentro c’è tutto”…BOOOM…”Sì c’era tutto” 😄.
Il finale poi è clamoroso, uno dei più belli che io ricordi, a partire dal mega pugno di Moschin che Bud Spencer (con rispetto sia chiaro) spostati proprio, proseguendo con lo sfogo di Adorf “Tu uno come Ugo Piazza non lo uccidi a tradimento, Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche toccare, Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche sfiorare, Tu quando vedi uno come Ugo Piazza il cappello ti devi levare”.
E quella sigaretta che brucia mentre vengono lanciati i titoli di coda è poesia pura.
Brividi.
Giudizio complessivo: 9.3
Enjoy,
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