Regia: Jean-Jacques Annaud
Recensione #1
Mi hanno sempre parlato tutti bene di questo film ma, stranamente, non ho mai avuto ne interesse ne voglia di vederlo, semplicemente mi sembrava un film noioso. Questo sentimento a pelle si è per fortuna rivelato errato e mi sono anzi pentito di non averlo visto prima.
La storia è quella di Henrich Harrer, uno scalatore austriaco aderente al partito nazionalsocialista che viene mandato dal Reich a scalare l'Himalaya per dimostrare la grandezza della Germania. Lo scoppio della guerra e condizioni meteo non favorevoli fanno si che il nostro protagonista non riuscirà a rientrare in patria così facilmente ma, al contrario, sarà costretto a restare in Tibet, terra mistica dalle tradizioni tanto diverse quanto affascianti. In questa terra passerà, appunto, sette anni, durante i quali conoscerà e diventerà fedele amico dell'attuale Dalai Lama, allora bambino al governo di una nazione in costante lotta con la Cina per l'autonomia.
La sottotrama storica e politica è sicuramente un punto di forza del film che, specialmente nella seconda parte, ci permette di contestualizzare il tutto, riuscendo a farci immergere maggiormente nella storia e permettendoci anche di imparare qualcosa di un passato relativamente recente. Il film, proprio per questa rappresentazione storica, ha causato non pochi dibattiti all'interno della Cina vista la visione totalmente negativa della nazione in opposizione a quella sacra ed immacolata del Tibet, facendo vietare il film nella nazione e vietando l'ingresso nei sui confini a Brad Pitt, star principale della pellicola.
Tralasciando le vicende politiche però, resta il fatto che questo Sette Anni in Tibet è un film fatto veramente bene, non uno dei film più belli che abbia mai visto ma di sicuro uno di quelli che ho visto più volentieri. La pellicola riesce ad incantare lo spettatore utilizzando diverse strategie che funzionano, nell'insieme, alla grande.
Prima trovata geniale è il continuo cambio di registro. Il film parte come un normale film di avventura, passando poi ad una fase più frenetica, ad una di guerra, una romantica e una drammatica. Il variare dei generi non è mai casuale però e non risulterà nemmeo fastidioso, anzi. La sua natura mutevole lo rende adatto ad un'enorme fetta di pubblico e questo non può che essere un grande pregio.
Musiche, costumi e scenografie aiutano a calarsi nella giusta atmosfera, dall'opprimente guerra all'inizio alle sconfinate pianure del Tibet alla fine. Come detto, grande cura anche nei costumi che riprodcono in modo fedele abiti di generali tedeschi, di sherpa himalayani e di monaci del Tibet. Le vesti dei personaggi, unite alle decorazioni degli edifici, creano un mondo colorato e spirituale nel quale ci immergeremo grazie anche all'uso sapiente di musica sinfonica alternata a brani tipici del folklore Tibetano.
Guardare questo film può essere un'esperienza interessante anche dal punto di vista umano. Il film insegna come, spesso, la vera felicità non stia nella ricchezza quanto piuttosto nelle piccole cose e nei rapporti umani. Amicizia, amore e comprensione sono i messaggi che vogliono essere diffusi e che devono sostituire odio, violenza e repressione, incarnate in questo caso dal regime fascista prima e da quello cinese poi.
Gli attori protagonisti ovviamente riescono a tenere sulle spalle il tutto senza nessuna difficoltà: Brad Pitt, protagonista indiscusso, se la cava egregiamente (anche se con il doppiaggio originale ha ricevuto diverse critiche negative riguardo al suo improbabile accento austriaco) e David Thewlis, compagno d'armi del protagonista, è un ottima spalla che riesce, in alcune occasioni, a catalizzare la nostra attenzione.
Consigliatissimo a tutti, indipendentemente dai gusti cinematografici, è di sicuro uno di quei film che nessun cinefilo dovrebbe farsi sfuggire.
Giudizio complessivo: 9
Buona Visione,
Stefano Gandelli
Recensione #2
Trama iniziale
Viene qui raccontata la storia (o meglio l'autobiografia) di Heinrich Harrer, intrepido quanto presuntuoso scalatore austriaco che durante la WWII partecipò a una cordata nazista alla conquista del Nanga Parbat. Impossibilitati dalle cattive condizioni meteo, scendono a valle dove li aspettano i soldati della Regina per arrestarli. Da qui inizierà la spasmodica ricerca di libertà per raggiungere la patria dove ad attenderlo dovrebbe trovare la sua donna ormai madre..
Recensione critica
Ho particolarmente apprezzato l'assenza di tempi morti e di scene un po' leziose, portandoti così fin da subito nel vivo della vicenda. Ovviamente il ritmo incessante non può durare per tutto il film, e anche qui c'è la mia approvazione. Tuttavia la storia non è delle più appassionanti né delle meglio raccontate: si sente molto la derivazione dall'autobiografia, è tutto molto meccanico e anche poco intimo.
In soldoni è un tipico viaggio di formazione, dove il protagonista all'inizio è spaccone e arrogante e piano piano diventa più dolce del miele. Le scene del campo di prigionia sono buone ma infinitamente peggiori rispetto a The Way Back, che consiglio molto di più.
Il parallelismo con le vicende del Dalai Lama non mi ha poi molto convinto, anche se realmente avvenuto..
Consigliato a tutti gli amanti del Tibet e della sua libertà e autonomia; sconsigliato a chi non va a genio il genere.
Giudizio complessivo: 6.8
Buona visione e alla prossima,
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