Regia: Samuel Fuller
“Gli dei rendono pazzi coloro che vogliono perdere”, Euripide.
Questa é la citazione che Samuel Fuller ha messo come epigrafe nei titoli di testa e di coda di Shock Corridor – Il Corridoio della Paura (1963).
Un’espressione utilizzata per descrivere qualcuno che commette azioni illogiche e azzardate, é come dire che questa persona si trova sull’orlo dell’abisso, vicino alla catastrofe finale.
Infatti Johnny Barrett, il protagonista del Corridoio Della Paura, sfiderà l’ira degli “Dei”, osando troppo, valicando limiti che non dovrebbero essere superati.
Questa, in breve, la trama: Johnny Barrett è un’ambizioso giornalista che decide di farsi ricoverare in incognito in un ospedale psichiatrico per risolvere un caso di omicidio avvenuto all'interno della struttura e con l’obiettivo di vincere il premio Pulitzer. Finge di aver tentato di violentare la sorella (in realtà la fidanzata Cathy, complice suo malgrado) e viene quindi internato nella casa di cura. Dentro l'ospedale, Johnny entra in contatto con tre pazienti testimoni oculari del delitto. Mentre si compone lentamente il quadro dell'omicidio, l'equilibrio mentale di Johnny inizia sempre più a vacillare.
Il contesto storico in cui si installa Shock Corridor é quello della fine del divismo hollywoodiano, della ricerca di nuovi linguaggi (nouvelle vague), dell’avvento della televisione e Il Corridoio Della Paura lo attraversa come un tuono, come un cavo elettrico scosso dalla corrente. Con un ritmo asciutto e rigoroso Fuller lancia un grido d’allarme svelando la solitudine e la frustrazione dell’uomo moderno, lo stesso grido lanciato da Hopper nei suoi quadri che esprimevano l’isolamento e l’alienazione di una nuova generazione.
Il film di Fuller sembra iniziare sotto le mentite spoglie di una spy story romantica con tinte noir, ma all’interno di questo involucro narrativo si nascondono molteplici chiavi di lettura ed un’aspra critica alla società americana moderna.
Il personaggio di Barrett infatti non nasconde il suo sfrontato arrivismo. Nel dialogo iniziale con il capo redattore dichiara senza mezzi termini di voler intraprendere questa folle impresa per vincere il premio Pulitzer.
“Questo lungo corridoio è la strada magica che conduce al premio Pulitzer!” afferma orgoglioso Barrett facendosi interprete della morale americana. Convinto della propia superiorità si getta in questa delirante impresa che sembra promettere successo, denaro e notorietà.
L’indagine giornalistica viene subito messa da parte, Johnny non esita un secondo neanche quando la fidanzata Cathy lo allerta disperata della follia di questo piano.
A quanto pare la povera Cathy é l’unico personaggio che nutre ancora sentimenti spontanei.
Cathy é una ballerina di nightclub che canta con immedesimazione ingenue canzoni che parlano del desiderio di ricevere e donare amore, il suo ruolo funge da contraltare alle ambizioni deliranti di Barrett, ma nenache un cuore puro potrà salvare l’uomo vittima dei suoi tempi.
Il film prosegue e trova il suo fulcro narrativo quando Barrett riesce a farsi ospedalizzare. Entrerà così in contatto con una serie di personaggi-satellite in uno spazio confinato, elementi che contribuiranno a creare un meccanismo di lettura interno ed esterno alla vicenda. In questo non-luogo, i personaggi divengono l’immagine in carne ed ossa delle ferite profonde di un’America che ha perso sogni e dignità, un’involucro travestito di modernità ma vuoto al suo interno.
I tre personaggi/testimoni oculari sono un veterano sudista della guerra in Corea che ha disertato e che é passato dalla parte dei comunisti, un nero vittima di discriminazioni convinto di essere un membro del ku klux klan e uno scienziato vincitore del premio Nobel regredito all'infanzia. Fa infine la conoscenza di un italiano obeso che canta arie d'opera di continuo (una specie di Pavarotti partito di testa!).
Geniale l’utilizzo del colore (contrapposto al bianco e nero della quasi totalità della pellicola) utilizzato nei flash back che raccontano gli eventi traumatici dei tre testimoni.
Il film é delineato da uno stile asciutto e da una narrazione precisa, questa linearità é pero interrotta da trovate sceniche completamente opposte che ben rappresentano il crescente disagio mentale del protagonista.
L’uso della sovraimpressione nella scena onirica in cui compare come un’entità ectoplasmatica in miniatura la fidanzata Cathy (si proprio come i vecchietti di Mullholand Drive di Lynch!) che si muove e parla sinuosamente.
E ancora l’impressionante scena della pioggia nel corridoio, scandita dalla voce interiore di Barrett, nel momento clou del film, quello in cui il protagonista porta a termine la sua missione scoprendo l’assassino ma perdendo allo stesso tempo il proprio equilibrio mentale.
Ed infine la scena più horror e comica del film, l’incontro di Barrett con un grupo di ninfomani che, tramite una danza/rituale di gruppo lo atterrano e gli saltano addosso mordendolo ovunque.
Il tema della follia e dell’internamento é stato più volte trattato al cinema.
Jack Nicholson in Qualcuno Volò Sul Nido del Cuculo di Forman è il “pazzo” ribelle che lotta contro il sistema. Winona Ryder in Ragazze Interrotte di Mangold rappresenta l’eccessiva sensibilità femminile vista dal sistema medico come malattia da curare. Keanu Reeves in Un Oscuro Scrutare tratto da Philip K. Dick e diretto da Linklater è la vittima inconsapevole, anch’esso ingaggiato in una missione di spionaggio che lo renderà dipendente dalle droghe.
Ma Johnny Barrett non è niente di tutto questo. Barrett é l’artefice della sua condanna, é l’uomo ambizioso, strafottente, che mette a rischio se stesso e chi lo ama per il successo e l’affermazione.
In questo delirio di onnipotenza superomistica anche la scienza e la medicina sono ridicolizzate e dichiarate impotenti. I pazienti non vengono curati o riabilitati ma sedati e tenuti lontani agli occhi di tutti, per non disturbare.
E proprio come gli internati che giacciono immobili nei loro letti, così le nostre coscienze restano assopite, spettatrici indifferenti di una società basata sull’arrivismo e l’ordine apparente.
Samuel Fuller con Shock Corridor voleva svegliarci dall’assopimento, dall’indifferenza, dall’accettazione dell’odio.
Quello di Fuller é un cinema senza paura, un po' come i film di Ed Wood o John Waters (anche se con intenti diversi) e forse oggi una sceneggiatura del genere farebbe sorridere ed un film come Shock Corridor verrebbe subito accantonato nella memorabilia del trash. Ma nonostante i dialoghi spesso ridicoli e la recitazione caricaturale non si riesce a staccare gli occhi dallo schermo.
Trauffaut non a caso così descrisse l’opera di Samuel Fuller:
«Il cinema di Samuel Fuller non é primitivo, é essenziale, la sua mente non é rudimentale, é maleducata, i suoi film non sono semplicistici ma semplici, ed é la sua semplicità la cosa che più ammiro »
Giudizio complessivo: 7
Buona visione,
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