Regia: Brian De Palma
Beh che dire, il Maestro Brian De Palma, dopo aver fatto il botto con lo straordinario Scarface e dopo aver fatto nuovamente centro con Gli Intoccabili qualche anno dopo, dimostra ancora una volta la sua devozione verso i gangster movies, proponendoci un’altra di quelle opere che difficilmente verranno accantonate nel dimenticatoio in tempi ragionevolmente brevi.
E sì perché la storia di Carlito Brigante, attorno al quale ruota tutta la vicenda, non può non entrare nella testa dello spettatore, un po’ come era successo con quella del glorioso Tony Montana, altro esempio di antieroe malavitoso, le cui analogie con il personaggio qui trattato sono molte di più di quelle che in apparenza appaiono scontate.
Ma tra queste, quella che ovviamente salta più all’occhio e che, in fin dei conti, garantisce alle due pellicole un buon 69% del successo totale, è la presenza di un Al Pacino nuovamente in stato di grazia (come non citare per esmpio la mitica arringa iniziale), doppiato qui non più dal grande Amendola, ma da un Giancarlo Giannini certamente bravo (tanto che gli ha prestato la voce in molti altri lavori) anche se non sui livelli di carisma dell’inarrivabile Ferruccio (e in ogni caso consiglio chiaramente pure la versione in originale, dal momento che per lavori come questi una sola visione non è manco da prendere in considerazione).
Già che ho iniziato col parlare di Al Pacino, non si può non menzionare colui che di fatto può essere considerato la sua spalla; e mi riferisco ad un sorprendente e riccioluto Sean Penn che di solito non mi fa esattamente esaltare, ma che qui offre il meglio di se, entrando perfettamente nei panni dell’avvocato schizzato ed arraffone.
A contrapporsi ai due sopracitati protagonisti vi è poi la graziosa Penelope Ann Miller, unico raggio di luce e di speranza all’interno di una vicenda che trasuda violenza e negativismo da ogni singolo poro. La scena della porta, con un Carlito titubante ed evidentemente messo in difficoltà (seppure per poco) è meravigliosa, così come quella dello sfogo in bagno con successivo pugno di Al Pacino al povero specchio, che in tutto questo non c’entrava nulla.
L’ambiente newyorkese degli anni ’70 offre un contorno perfetto, mostrandoci un realistico spaccato di quella vita da strada, dalla quale Brigante tenta in tutti i modi di allontanarsi ma che, inesorabile, non ti abbandona mai perche si sa “La strada ti tiene d’occhio, ti tiene d’occhio continuamente”. Carlito questo lo sa bene, il suo destino appare segnato da subito e infatti lo si vede che non è tranquillo; nonostante tutto non può comunque fare a meno di accompagnare suo cugggino al fatale incontro con gli spacciatori o di aiutare il suo amico avvocato nella tragica battuta di pesca al mafioso. Ed è chiaro che non gli daresti una sola opportunità di vederlo spiaggiato alla Bahamas ad affittare quelle macchine che lui conosce molto bene, dal momento che “Ha cominciato a rubarle quando aveva 14 anni”.
Tutto ciò basterebbe già per garantire un’ottima riuscita alla pellicola, ma se consideriamo lo straordinario contributo di De Palma, garanzia di successo se ce n’è una e grandissimo valore aggiunto, ecco che in breve l’ottimo si trasforma in eccellente, con la stessa velocità con cui il tuo migliore amico si trasforma nel peggiore dei tuoi incubi (citofonare Kleinfeld e Pachanga per i dettagli).
La regia è a dir poco magistrale, con alcuni piani sequenza da brivido (come per esempio quello iniziale in bianco e nero, con inquadrature fluttuanti che hanno come punto focale gli occhi sgranati di Carlito), inquadrature spettacolari, primi piani memorabbbili e molto altro. Ma quello che ancor più stupisce è che la vicenda ti prende così tanto che lì per lì manco ci fai caso a tutti gli artifizi tecnici che il regista sfodera in rapida successione. Poi, ripensandoci, ecco che ti viene in mente e, andando a rivedere, l’applauso è d’obbligo.
L’ultima parte è il perfetto esempio del connubio tecnica-carisma-adrenalina che si viene a creare, con quell’inseguimento sul treno prima ed in stazione dopo che non lascia un attimo di respiro, che fa passare (non so quanto volontariamente) i siciliani un po’ per coglioni e che ci conduce al meraviglioso finale, tanto atteso, quanto drammaticamente intenso.
“Mi dispiace ragazzi, non basterebbero nemmeno tutti i punti del mondo per ricucirmi. È finita, mi metteranno nel negozio di pompe funebri di Fernandez sulla 109esima strada. Ho sempre saputo che prima o poi sarei finito li, però molto più tardi di quanto pensava un sacco di gente…Sono stanco amore, sono stanco”.
Seguono bellissimi titoli di coda con una “You Are So Beautiful” in sottofondo che, con le dovute proporzioni e senza bestemmiare poi così tanto”, ho ritrovato anni dopo, per analogia di situazione e stati d’animo, nella “Free Bird” che accompagna l’altrettanto ottimo finale del “Devil’s Rejects” Robzombiano.
Divagazioni a parte, questo resta un filmone imprescindibile per chiunque, uno di quelli da conservare gelosamente e da tramandare di generazione in generazione.
Applausi.
Enjoy,
Luca Rait
Trailer