Regia: Miloš Forman
Capolavoro inarrivabile, probabilmente uno dei miei film preferiti, se non il mio preferito in assoluto.
Applausi e standing ovation per Milos Forman che, sfruttando perfettamente la storia raccontata nell’omonimo romanzo di Ken Kesey, consegna alla storia uno di quei pilastri a cui è impossibile rinunciare. In caso contrario, è evidente che una piccola visitina al Nido del Cuculo (che, senza girarci attorno sarebbe il manicomio) di Salem, in Oregon, ve la consiglio.
Già, perché tutta la faccenda ruota attorno alla pazzia e al lato più oscuro di come essa veniva trattata in quel periodo. Confesso che, per quanto mi riguarda, non ci sono né Serbian film, né Girl Next Door che tengano, perché sono i film come quello di cui sto parlando ora che hanno il potere di infastidirmi più di ogni altra cosa, quelli dove entra in gioco la psiche umana, come accade qui e come accade in Sileni per esempio, seppur con una lieve estremizzazione del concetto.
Non è un mistero che il protagonista indiscusso della vicenda è un ??? Jack Nicholson, dove i punti di domanda non sono un errore di battitura, ma giustificano l’impossibilità di trovare aggettivi adatti per descrivere quanto la sua prestazione sia memorabile. Le sue espressioni, già all’inizio sono da Oscar (e chiaramente lo vince a mani basse), con quel ghigno malefico e quella risata geniale che diventeranno un vero marchio di fabbrica del personaggio che, qualche anno dopo, approfitterà di un altro romanzo (questa volta del maestro King), per regalarci un capolavoro 2.0, rispondente al nome di Shining.
Il siparietto con il direttore del manicomio è a dir poco fantastico. “Perché l’hanno mandata qui?” “Faccio a botte e scopo troppo”. “Lei pensa che la sua mente abbia qualcosa che non va?” “No Signore, la mia mente è una meravigliosa e stupenda macchina della scienza”.
Ed in effetti il nostro Randle McMurphy non ha proprio nulla a che fare con quella banda di pazzi in mezzo ai quali si ritrova, ma proprio la sua condizione diviene il mezzo comune per dar voce ad un grido di ribellione di cui egli si fa portavoce e che contribuisce a metter giù una limpida e feroce critica contro il sistema e ovviamente contro chi gestiva le “cure” prestate negli ospedali psichiatrici.
E non è un caso che il film non abbia avuto tutta l’attenzione e la visibilità che chiaramente si sarebbe meritato; ricordo per esempio come spesso, parlando di questa pellicola, mio padre si lamentava di come lui non sia mai riuscito a vederlo all’epoca, perché chiaramente dava fastidio, dal momento che la realtà non era poi così diversa da quello che ci viene mostrato.
Dicevamo quindi di come il caro Jack si carichi il film sulle spalle sin dalle prime battute (“Ma che cosa vi credete di essere, vacca troia? Pazzi? Davvero? Invece no. E invece no. Voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io!”), ma sarebbe ingiusto e riduttivo parlare soltanto di lui, poiché il cast è di tutto rispetto e i personaggi “di contorno” sono studiati perfettamente, in modo da dar vita ad un gruppo a cui lo spettatore si affeziona immediatamente.
Memorabile è la riunione iniziale, in puro stile Processo di Biscardi, così come la partita a carte con i vari “Pensa a giocare” ripetuti ossessivamente.
Will Sampson, il Grande Capo, diventa idolo incontrastato quando svela il suo piccolo segreto e quando mette fine, tra le lacrime che inevitabilmente iniziano a scorrere, a tutta la faccenda.
Christopher Lloyd, qui al suo esordio, dimostra già un carisma più che notevole anche se non si diverte a viaggiare nel tempo, Brad Dourif, nei panni di Billy è perfetto nel mostrare quanto poco ci voglia a farsi sopraffare dai propri incubi (qui in particolare materializzatisi con la figura materna), anche quando ormai pensi di essere il capo del mondo solo perché hai avuto un assaggio di uno dei beni più preziosi dell’umanità, mentre Danny DeVito, William Redfield e Sydney Lassick completano, ognuno coi tratti che li contraddistingue, il gruppo.
E poi ovviamente c’è lei, l’ottima Louise Fletcher (premiata pure lei con l’Oscar), nei panni dell’infermiera stronza, che però non è stronza in quanto stronza, ma è soltanto il mezzo con cui la scienza e la medicina nello specifico vuol mostrare di aver trovato la via giusta per combattere quella che viene considerata a tutti gli effetti una piaga da debellare a qualsiasi costo.
Impossibile non ricordare la promessa di McMurphy “Scommettete? Una settimana... In una settimana le farò un culo tale che non saprà più se cacare o farsi una passeggiatina in bicicletta... Chi scommette?”, che oggettivamente suonava sin da subito come un segnale d’allarme assai preoccupante, che ci conduce ad un finale severo ma giusto, con quell’immagine del paziente finalmente domato che, insieme all’elettroshock provato in precedenza, rimangono impressi a lungo, nonostante alla fine non venga mostrato praticamente nulla di ciò che è stato fatto. Ma quelle poche immagini, bastano e avanzano, credetemi.
Concludo rimarcando ancora una volta la grandezza di questa pellicola che indubbiamente ha raccolto ancor più successo a seguito dell’altro capolavoro Arancia Meccanica uscito qualche anno prima, dove già con il trattamento Ludovico si affermava che “Se ad un uomo si nega la possibilità di scelta, egli cessa di essere un uomo”.
Giudizio complessivo: 10
Enjoy,
Luca Rait
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