Regia: Park Chan-Wook
Oh Dae-su è un uomo di mezza età e, non appena si apre il film, lo vediamo ubriaco in una stazione di polizia. Qui racconta ai poliziotti che ha appena comprato un regalo per la figlia e non appena un suo amico viene a prelevarlo, chiama a casa per far sapere che sta bene. Appena esce dalla cabina però viene rapito e si risveglierà solo in una stanza d’albergo, rinchiuso senza sapere né il perché, né da chi, né per quanto tempo. Inizierà così un lungo cammino di sopportazione e rassegnazione lungo quindici anni durante i quali inizierà a scavare un tunnel in una parete e a scrivere un diario nel quale raccoglierà le sue memorie e penserà a tutti coloro che potrebbero avercela con lui. Un giorno, finalmente, riesce ad ultimare il tunnel ma dopo essere stato addormentato con un gas, si risveglierà in un baule sul tetto dell’edificio nel quale era prigioniero, libero, con dei soldi in tasca e vestito bene. Da questo punto inizia la parte interessante: scoprire chi l’ha incarcerato per quindici anni e soprattutto perché lo ha fatto.
Old Boy, capolavoro sudcoreano del regista Park Chan-Wook ha visto la luce in Europa e nel resto del mondo grazie al signor Tarantino, il quale ha dichiarato che questo è il film che lui stesso avrebbe voluto girare. Grazie a questa frase il film è riuscito a farsi conoscere al di fuori del festival di Cannes incontrando grande riscontro da parte del pubblico.
Ben lontano da quello scempio di remake targato Spike Lee, il film è la prova di quanto sia importante avere delle buone idee per un bel film, a discapito anche del budget. Il film infatti è forse il thriller migliore che abbia mai visto e vi garantisco che fino all’ultimo secondo sarete con i nervi a fior di pelle, curiosi di sapere come andrà a finire.
Il cast del film è, almeno da noi Europei, perlopiù sconosciuto, fatta eccezione per Choi Min Sik, il protagonista del film che proprio grazie a questa pellicola è riuscito ad ottenere ruoli anche in produzioni americane (es. il cattivo nel film Lucy di Luc Besson). Detto ciò, tutti gli attori sono davvero perfetti nel loro ruolo e riescono a creare un mondo quasi surreale, un mondo nel quale conta solo la vendetta e tutto il resto è superfluo, compresa la vita stessa dei personaggi.
La ricerca della verità in questo film si spingerà infatti oltre ogni limite e segnerà un nuovo standard per la categoria revenge-movie, facendo della Vendetta il suo cardine.
La pellicola si colloca al centro, nemmeno a dirlo, della Trilogia della Vendetta, preceduta da Mr. Vendetta e seguita da Lady Vendetta, titoli altrettanto validi ma che non hanno quella marcia in più che Old Boy riesce ad avere.
I colori del film sono stati scelti con cura: durante la prigionia il colore dominante è il verde, un colore marcio che rappresenta l’oppressione ed il senso di angoscia del protagonista rinchiuso; il mondo “libero” è invece grigio e freddo, così come l’animo del protagonista che non ha alcuno scopo se non la vendetta, in un luogo vuoto e senza senso; la stanza di Mi-Do (una ragazza che diventerà la fidanzata di Oh Dae-su) sarà rossa, rossa come la passione che lega i protagonisti.
La sceneggiatura del film poi è un altro enorme punto a favore, ogni cosa ha un senso ed è coerente con il resto del film, i dialoghi sono sviluppati soprattutto come monologhi interiori, tanto lucidamente calmi quanto furiosamente insani. La poesia poi riempie il film, grazie a numerose frasi ad effetto e dialoghi davvero favolosi, in grado di far riflettere anche noi spettatori. Affiancata alla sceneggiatura è la colonna sonora, una tra le più belle che abbia mai sentito. I brani che si susseguono provengono dalla musica classica e dall’ambient, culminando in un paio di scene con il primo movimento dell’Inverno di Vivaldi, un pugno allo stomaco tanto armonioso quanto in netto contrasto con la violenza delle scene che appariranno sullo schermo.
Questo film è quindi uno tra i migliori che abbia mai visto, il film con il quale mi sono avvicinato al mondo cinematografico asiatico e alla sua splendida poesia, presente più che mai nelle produzioni sudcoreane (basta vedere il sommo Kim Ki Duk).
Consiglio questo film a chiunque voglia vedere un ottimo prodotto, sopra alla media e con un finale davvero mozzafiato. Sconsigliato a chi non ama i ritmi lenti e riflessivi del cinema asiatico.
Giudizio complessivo: 10
Buona visione,
Stefano Gandelli
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