Regia: Takashi Miike
Ichi The Killer è probabilmente il più conosciuto (o comunque sicuramente uno dei più considerati) film di Takashi Miike, un regista che onestamente non ho ancora ben inquadrato (e forse neanche ben compreso fino in fondo, sempre che sia possibile farlo) e sul quale nutro tutt’ora alcune riserve.
Chiaro il mio giudizio non può essere così completo, dal momento che ho visto soltanto pochi dei suoi lavori (oltre a questo mi sono dilettato con Audition, Visitor Q, che considero il migliore, il Masters Of Horror e Sukiyaki Western Django) e, pur avendo apprezzato molto ciascuno di essi, ho sempre avuto la sensazione che mancasse qualcosa (o che ci fosse troppo) per poter arrivare al capolavoro.
E ciò vale indubbiamente anche per questo film, anzi qui il discorso è ancor di più amplificato.
L’idea di puntare su scene piuttosto forti direi che funziona, considerando anche che la realizzazione delle stesse è di un livello molto elevato e riescono a rimanere impresse nello spettatore per diverso tempo.
L’abuso di splatter, con tendenza ad una voluta esagerazione che in alcuni punti sfocia nel ridicolo voluto, è chiaramente un altro punto a favore, ricalcando lo stile di molti prodotti giappi o comunque dagli occhi a mandorla, che proprio su questo hanno basato le loro fortune.
L’ironia di fondo che si respira per tutta la durata del film, sfocia spesso in follia, genialità ed estremismo ed è qui che Miike secondo me sbaglia leggermente, dilungandosi un po’ e concedendo qualche pausa di troppo, rischiando così in diversi frangenti di far sopraggiungere qualche sbadiglio.
Sulla scelta e sulla resa dei personaggi poi ho qualche riserva.
Kakihara, ottimamente interpretato da Tanadobu Asano è senza ombra di dubbio l’MVP della partita, battendo tutti gli altri con abbondante distacco. La sua prima inquadratura nella stanza del Boss è meravigliosa, mentre la scena del fumo che fuoriesce dalle guance è indimenticabile, così come il momento in cui decide di maltrattare la sua lingua.
La figura di Ichi invece non mi ha mai convinto fino in fondo, non so se per il poco che mi ha trasmesso lui come personaggio (sul finale per esempio) o per qualche eventuale mancanza che ha avuto il regista nella sua caratterizzazione.
Il finale non è banale e la sua cripticità obbliga lo spettatore a riflettere su quanto appena visto. Personalmente non mi ha proprio entusiasmato, ma mi rendo conto che la valutazione è puramente soggettiva, per cui va presa con le pinze.
Detto questo il film risulta assai godibile e lo consiglio assolutamente, augurandomi che prima o poi Miike sforni il capolavoro da 10/10 che sto ancora aspettando e che da lui è lecito aspettarsi.
Giudizio complessivo: 7.5
Enjoy,
Luca Rait