Regia: Lars von Trier
Una tra le cose migliori che possono capitare ad un amante del cinema è aspettarsi di vedere un film mediocre e trovarsi davanti ad un ottimo prodotto.
È questo il caso di Antichrist, il film che ha segnato un cambio di direzione netto nella carriera artistica di von Trier, un taglio al Dogma 95 e la sperimentazione verso nuove splendide frontiere artistiche.
La trama è abbastanza semplice all’apparenza: Lui e Lei, una coppia senza nome, hanno un figlio. Durante la prima scena del film il figlio si butta da una finestra mentre loro fanno l’amore e questo segnerà in modo indelebile la madre.
Antichrist, in quattro capitoli, ci racconterà come i due affronteranno la perdita del figlio in modo diverso: Lui affronterà il dolore in modo razionale, Lei cadrà in una profonda crisi depressiva che la logorerà dall’interno. Il marito psicoterapeuta deciderà, malgrado gli avvertimenti, di curare lui stesso la moglie e la coppia si rifugerà in una casa di montagna che chiameranno Eden. Quello sarà l’inizio della fine.
Analizzare questa pellicola è davvero molto complicato perché ci sono mille cose di cui parlare e mille simboli da decifrare.
Partiamo col dire che i due attori protagonisti (nonché unici attori) sono Williem Dafoe e Charlotte Gainsbourg. Lui è semplicemente spettrale grazie ai suoi lineamenti marcati ed al suo sorriso assassino; Lei invece è bella e delicata nei lineamenti, in netta contrapposizione con Lui e, proprio questa differenza, servirà per rendere il tutto più surreale dal momento che Lui sarà il “buono” della storia. La bravura degli attori poi è davvero stellare e, nonostante sia di solito favorevole al doppiaggio italiano, in questo caso devo ammettere che la versione originale è davvero superiore come qualità e riesce ad incutere terrore anche solo dal tono della voce dei protagonisti.
La fotografia in questo film è qualcosa di strepitoso perché, nonostante il film sia girato per la maggior parte al buio e/o in penombra, i protagonisti risalteranno sempre grazie al bianco della loro pelle e non avremo mai la sensazione di non riuscire a vedere cosa accade sullo schermo.
L’uso della camera a mano in questo film è presente ma non è eccessivo come in altre pellicole (per fortuna) e nelle sequenze oniriche le scene in slow-motion si sposano alla perfezione con telecamere pressochè immobili che riescono a rappresentare una macabra poesia in (lento) movimento (un’anticipazione di quello che vedremo nell’overture di Melancholia).
In Antichrist la paura è studiata con molta attenzione: non ci saranno infatti jumpscares che ci faranno sobbalzare ma ci sarà “solo” un atmosfera marcia e surreale, onirica e allo stesso tempo terribilmente realistica, tanto da ricordare in alcune sequenze il Lynch di INLAND EMPIRE (la scena della volpe, nella sua semplicità, mi ha letteralmente fatto venire i brividi).
Per quanto riguarda la violenza invece non è molta ma, quelle poche scene, sono tra le più crudeli e cattive che abbia mai visto, una macabra unione tra sessualità, morte e violenza che difficilmente si cancellerà dalla vostra mente (quando vedrete delle forbici, iniziate a preoccuparvi).
Passando al lato “simbolico”, il film è davvero ricco di metafore e simboli, più o meno voluti dal regista. Partiamo dal titolo, Antichrist.
Lo stesso von Trier non si è apertamente espresso in merito ma, probabilmente, si basa sull’idea di Mondo al contrario, un mondo creato da Satana nel quale tutti i valori sono sovvertiti. Lui è Giuseppe, uomo freddo e calcolatore; Lei è Maria, donna crudele che spinge il figlio alla morte (guardando il film capirete il perché di questa affermazione); il figlio è una sorta di Anti-Salvatore morto a causa dell’egoismo e della cattiveria.
L’Eden nel quale soggiornano è ben lontano da essere un paradiso terrestre quanto piuttosto un luogo dove la natura è crudele (bellissimi gli effetti video che deformano la foresta).
Al film si può anche dare un’interpretazione dantesca, l’Eden infatti è solo un illusione, un luogo raggiungibile solo dopo aver passato l’Inferno e tutto il Purgatorio, unico modo per poter accedere al Paradiso attraverso alla sofferenza. Questa interpretazione spiegherebbe l’Epilogo e la presenza delle tre bestie (Cerbiatto, Volpe e Corvo) che torneranno più volte nel film e saranno sempre simboli negativi, con particolare riferimento alla sessualità ed al piacere femminile visti come peccato assoluto e fonte di ogni male in questa allegoria misogine e crudele del mondo (come la tana della volpe con dentro il corvo o la cerbiatta partoriente).
Mi rendo conto di essermi dilungato molto ma non abbastanza, si potrebbe parlare per ore ed ore dei mille significati nascosti ma forse è meglio lasciare parte del fascino del film al mistero e al dubbio.
Un film scandaloso e difficile, molti di voi potrebbero non gradirlo ma, se sarete disposti a soffrire un po’, verrete ripagati con uno dei film migliori di sempre, un vero esperimento cinematografico in grado di lasciare a bocca aperta anche coloro che, come me, erano convinti di non riuscirsi più a stupire.
Giudizio complessivo: 9.7