Regia: Spike Lee
Impossibile dimenticare le telecronache NBA di pochi anni fa di Flavio Tranquillo, quando all’ennesimo canestro da 3 in uscita dai blocchi urlava “He Got Game” senza alcun ritegno.
E si perché il basket viene utilizzato in questa storia come mezzo per analizzare in primis le problematiche familiari e per mettere poi in luce le difficoltà che si hanno a fidarsi della gente quando effettivamente si conta qualcosa.
Tutti sono infatti disposti a fare di tutto per mettere le mani su un prodotto che vale e chi deve prendere una delle decisioni più importanti della vita (si mi pare che questa frase venga ripetuta giusta due o tre volte), si ritrova nella peggiore condizione possibile, circondato da persone che all'apparenza possono sembrare care, ma dietro le quali si nascondono in realtà semplici e biechi opportunisti.
C’è tutto ciò e molto altro in questo classico sfogo nero di Spike Lee che guarda caso è notoriamente un grande appassionato di basket e lo si vede spesso sul campo dai New York Knicks inveire contro arbitri ed avversari con fare piuttosto colorito. Il nome del protagonista, Jesus, è stato inoltre scelto, come spiegato poi ad un certo punto del film (tra i più forti, emotivamente parlando), in onore di quel “Black Jesus” Earl Monroe che i tifosi dei Knicks non più di primo pelo, ricorderanno benissimo.
Di rilievo la presenza del buon Denzel Washington, notoriamente pupillo di Spike Lee, così come a sorpresa risalta quella di un giovane Ray Allen, senza dubbio uno dei più seri e professionali giocatori Nba (e che in ogni caso anche qui non se l'è cavata affatto male). Washington è comunque il vero trascinatore del film, con una prestazione di grandissimo spessore (quando ad un certo punto si incazza, non avendo notizie del figlio, è a dir poco meraviglioso).
Belle le varie scene prese dal playground cestistico, tra cui chiaramente spicca la sfida finale padre-figlio, mentre alcune banalità di troppo si sarebbero potute anche evitare (una su tutte il giocare troppo sul nome del protagonista, Gesù, che alla lunga stufa un po’)
Certo è che, se l’intenzione del regista, era quella di mostrare il peggio del mondo NCAA (non so poi quanto fedelmente riprodotto), Spike Lee c’è riuscito benissimo con questo He Got Game, un film che difficilmente regalerà qualche sorriso, ma che farà incazzare parecchio, anche sul finale (forse prevedibile), ma che rende bene il concetto di come sfruttare la persone e le loro emozioni per ottenere ciò che si vuole.
Giudizio complessivo: 7.8
Enjoy!
Luca Rait
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