Nymphomaniac è senz’altro un film che ha fatto, fa e farà discutere molto.
E d’altra parte è proprio questo che ci si aspetta da un regista come Lars Von Trier, capace di sfoderare in rapida sequenza perle del calibro di Antichrist o Melancholia. Se ci trovassimo pertanto di fronte a un film facilmente dimenticabile, che non crei imbarazzi e pareri discordanti tra la critica, staremo di certo a parlare di un fallimento più o meno totale.
Per cui il mio consiglio è quello di riuscire a ritagliarsi tutto il tempo necessario (4 ore circa se vi accontentate della versione soft, più di 5 ore se decidete di avventurarvi nella versione hard, dove vi sono diverse scene decisamente esplicite che indubbiamente strizzano l’occhio al porno e vero e proprio) per capire se schierarvi tra i sostenitori del Genio Lars von Trier o tra quelli che lo reputano il peggiore degli accattoni.
Chiaramente questo mio commento vale per entrambi gli episodi, in quanto nel mio caso la visione è stata consequenziale e il film non ha secondo me ragione di essere separato in due parti.
Già l’inizio è confortante, si parte subito coi Rammstein in sottofondo e se il buon giorno si vede dal mattino, possiamo pure dormire sonni tranquilli. Sonni tranquilli che invece sembra non dormire Joe, la protagonista di questa incredibile (ma non così tanto infondo) vicenda, che parte proprio dal racconto della sua vita, che lei stessa inizia a sciolinare davanti ad un visibilmente interessato Stellan Skarsgård, in arte Seligman (che probabilmente quel giorno avrebbe fatto meglio ad andare a pescare, anziché farsi coinvolgere in tutto questo).
La storia poi, divisa in capitoli con tanto di titolo, si trascina attraverso tutte le fasi della sessualità della donna, durante le quali effettivamente si ritrova a sperimentare quasi tutto quello che il panorama offre, passando attraverso l’assioma che 'Prima di tutto il piacere' e la convinzione che 'Non si può fare una frittata senza rompere qualche uovo', il tutto condito da aneddoti interessanti (e a proposito caro il mio Lars, sapevo già di essere abbastanza spensierato, non c'era bisogno di farmelo notare tirando in causa il giochino del taglio delle unghie). E in questa storia si finisce col perdersi senza neppure rendersi conto delle ore che passano e dei tempi morti che indubbiamente ci sono, ma che davvero non lasciano traccia, perché ormai si è troppo coinvolti nella vicenda per accorgersi di ciò che ci sta accadendo attorno.
Charlotte Gainsbourg si rivela ancora una volta a dir poco eccezionale, anche se la giovane Joe, interpretata da un’esordiente Stacy Martin, non demerita affatto, considerata anche la parte a cui si è trovata di fronte. E poi vabbè c’è pure Uma Thurman, relegata sì ad una parte minore (un capitolo comunque le viene dedicato), ma che senza dubbio lascia il segno, come è sua abitudine fare.
Un gran bel finale poi testimonia come il regista ci abbia positivamente fregato ancora, lasciandomi inoltre col sospetto che su quel set, nonostante diverse smentite, qualcuno si sia divertito sul serio.
Chiudo con una considerazione fatta da Shia LaBeouf, il Jerome discreto protagonista della vicenda che dichiara:
“Il film è quello che pensi che sia. Lars von Trier sta facendo un film su quello che fa. Un avvertimento all'inizio della sceneggiatura dice che tutto quello che sarà fatto nel film sarà fatto per davvero. Gli atti illegali saranno filmati in maniera sfocata. von Trier è pericoloso. Mi fa paura. E sto andando al lavoro adesso, ma sono spaventato”.
Giudizio complessivo: 8
Buona visione e alla prossima,
Luca Rait
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