L'Usuraio - Shohei Manabe


di Shohei Manabe


Quanto può degradarsi una persona per pochi spiccioli da perdere in una sala di pachinko? Ci si può autodistruggere solo per vestire alla moda? Cosa sacrificheresti per pochi giorni di dilazione su una rata del tuo prestito?

Queste ed altre domande trovano risposta sulle pagine de L'Usuraio di Shohei Manabe, gioiello seinen edito da Panini. Poche opere sono riuscite in maniera così incisiva a descrivere la bancarotta non solo economica, ma soprattutto morale di una società: intorno al gelido protagonista, l'usuraio Ushijima, gravita un mondo letteralmente allo sbando, in cui l'unica cifra (è proprio il caso di dirlo) è oramai il denaro, o per meglio dire la possibilità di spendere. 

La realtà giapponese, competitiva, formalista e capitalista come poche, specchio deformato ed esagerato della società consumista, esce dalle tavole di Manabe letteralmente con le ossa rotte. 

Che sia un giovane sbandato o un  p.r. fallito, un'impiegata ostentatrice o una casalinga ludopatica, passando per tutta la galassia degli sconfitti e dei parvenù di una globalizzazione che
ha azzerato dignità e valori, tutti sono accomunati dal bisogno patologico di denaro da spendere.

Consumo quindi esisto è l'unico metro con cui si può essere e sentirsi vivo. Centro di gravità di questo universo di derelitti effettivi o potenziali è l'usuraio Ushijima: gelido, anaffettivo (riversa quella quota di umanità che ogni essere umano è condannato ad avere allevando conigli!), amorale e spietato, è un uomo che ha lucidamente deciso, in un mondo che è capace solo di divorare e rubare, di stare dal lato di chi divora. 
Nessuna etica, nessun principio, nessun travaglio interiore, solo la cinica volontà di essere al tavolo dalla parte di chi banchetta, non di chi mendica; Ushijima, personaggio repellente ed attraente allo stesso tempo, entra facilmente nell'olimpo dei migliori anti eroi del fumetto giapponese. 

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La struttura ad episodi, alcuni lunghi, altri brevi, pur apparendo frammentaria, delinea bene il protagonista ed il suo universo e nulla toglie alla compattezza dell'opera. Un plauso inoltre allo stile di Manabe, che rifiutando la tipica tendenza giapponese al disegno deformato e ricco di retini, ci delizia con un tratto realistico, ma gelido, quasi una fotografia desaturata dai colori. 

In un mondo reale svuotato di valori etici anche il tratto si svuota, privilegiando linee sottili ed un trionfo del bianco asettico e dell'inquadratura fissa e barocca, alternando ampie tavole ad altre frammentate in maniera sincopata. Come un entomologo, l'autore non giudica, ma mostra nel modo più didattico possibile. 

Da leggere e far leggere, senza se e senza ma.


Ivan Mirenda


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